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| David Adler (dex), a sx: il nonno Jacques Adler |
di Antonio Lamorte
David Adler non scrive mai nei panni dell’ebreo, dice. Arriverà nella Zona Rossa durante lo Yom Kippur perché è imbarcato, a bordo della Global Sumud Flotilla che nella notte è entrata nella fase più delicata della missione umanitaria per portare gli aiuti nella Striscia di Gaza. Il passaggio dalle acque internazionali alle miglia occupate da Israele. Nessuna protezione dalle fregate italiane, il rischio di essere intercettati o peggio dall’esercito israeliano. Adler ha scritto un messaggio sui social, prima di questo momento delicato, dopo tutti gli appelli da parte delle istituzioni a desistere, far arrivare gli aiuti in altri modi, rinunciare a forzare il blocco navale.
Che la missione arrivi a questo momento di incertezza e paura proprio in concomitanza con lo Yom Kippur, festività ebraica che celebra il giorno dell’espiazione, è molto significativo per Adler: “Sono qui anche perché la mia eredità ebraica lo richiede. Da adolescente, mio nonno Jacques Adler (nella foto a sinistra) si unì alla resistenza parigina contro i nazisti, rischiando la vita per sabotare le loro operazioni, mentre i suoi amici e familiari venivano mandati a morire nei campi di concentramento”. Il messaggio ragiona intorno ai concetti di Giustizia e di Espiazione, ispirati proprio dalla Torah, il testo sacro della religione ebraica.
E mentre la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni lamenta che la missione umanitaria (una cinquantina di barche, una quarantina di Paesi rappresentati nelle delegazioni) sia soprattutto una maniere per attaccare e mettere pressione al governo italiano, mentre la premier cresciuta nelle sezioni giovanili del neofascista Movimento Sociale Italiano accusa attivisti disarmati a bordo di piccole barche a vela con qualche carico di aiuti di compromettere la pace dove si sta consumando un massacro quotidiano da quasi due anni, un attivista di religione e famiglia ebraica offre uno spunto di riflessione che parte dalla storia della sua famiglia e dalle parole del libro sacro. Adler ha chiuso il suo post con il saluto ebraico, “G’mar chatima tova” pronunciato nel periodo tra Rosh HaShana e Yom Kippur, che significa: “Che tu sia sigillato per un buon anno” o “che tu possa essere iscritto nel libro della vita”, un messaggio di speranza per il futuro.
L’Unità, 1 ottobre 2025
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Saluti dalla Global Sumud Flotilla dall’ebreo David Adler mentre ci avviciniamo definitivamente a Gaza: lettera su cosa significa essere ebreo e intraprendere una missione che mi porterà nella "Zona Rossa" durante lo Yom Kippur, il giorno più sacro del calendario ebraico
Oggi vi scrivo una lettera molto personale, una lettera su cosa significhi per me essere ebreo e intraprendere una missione che mi porterà nella "Zona Rossa" durante lo Yom Kippur, il giorno più sacro del calendario ebraico.
Non scrivo quasi mai "come ebreo". Condivido la stanchezza di essere costretto a mettere al primo posto i sentimenti ebraici, quando un genocidio è stato commesso in nome dell'"interesse nazionale" sionista e quando gli attivisti sono stati arrestati, torturati e deportati in nome della nostra "sicurezza".
Ma oggi mi sono sentito in dovere di scrivere su quel registro, in quanto uno dei pochi ebrei impegnati in questa missione, che riunisce oltre 500 persone provenienti da più di 40 paesi in tutto il mondo.
Credo che la scelta di questa flottiglia non sia casuale. Al contrario, ritengo sia una benedizione che l'intercettazione si avvicini all'inizio dello Yom Kippur, il nostro giorno annuale di espiazione, che ci invita a riflettere sui nostri peccati e su cosa possiamo fare per ripararli nello spirito del tikkun olam.
Come possiamo espiare ciò che è stato commesso in nostro nome? Come possiamo chiedere perdono per i peccati che si moltiplicano di ora in ora, mentre bombe e proiettili piovono su Gaza? Come potremmo prendere sul serio il nostro mandato di "guarire il mondo" quando lo Stato di Israele è così determinato a distruggerlo?
Se c'è una parte della Torah che ricordo ancora, è questo obbligo che ci impone: "Giustizia, giustizia perseguirai". Come potremmo restare a guardare mentre lo Stato di Israele perverte questo sacro obbligo, sovrintendendo all'olocausto del popolo palestinese?
Mi sono unito a questa flottiglia come qualsiasi altro delegato, per difendere l'umanità, prima che sia troppo tardi. Ma durante lo Yom Kippur, mi viene ricordato che sono qui anche perché la mia eredità ebraica lo richiede.
Da adolescente, mio nonno Jacques Adler (nella foto) si unì alla resistenza parigina contro i nazisti, rischiando la vita per sabotare le loro operazioni, mentre i suoi amici e familiari venivano mandati a morire nei campi di concentramento.
Questa è la tradizione alla quale sono chiamato e la definizione di “giustizia” che sento fedele alla mia identità ebraica, poiché la stessa rabbia genocida che ha preso di mira i miei antenati è ora assunta dalle sue principali vittime.
Yom Kippur è un giorno di digiuno, un modo per manifestare la nostra espiazione in forma fisica. Ma negli ultimi due anni, la popolazione affamata di Gaza non ha avuto altra scelta che rinunciare al pane quotidiano.
Se le forze israeliane ci intercettassero durante lo Yom Kippur, allora vediamo cosa significa la vera espiazione. Non digiunare in tutta comodità mentre si fanno morire di fame i propri vicini. Non pregare in sicurezza mentre si sganciano bombe sulle loro teste. Espiazione significa azione.
Quindi, mentre stasera tramonta il sole e inizia il digiuno, spero che i miei confratelli ebrei si uniscano a me nel ridefinire il loro approccio all'espiazione, insieme alla preghiera silenziosa, e verso un'azione coraggiosa per porre fine a questo orribile genocidio.
G'mar chatima tova.
David Adler

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