di ANGELO SICILIANO
Questa è la trebbiatura arcaica praticata nelle campagne, o presso le masserie, sino a metà ‘900, prima della diffusione capillare delle trebbiatrici meccaniche, soppiantate poi dalle mietitrebbiatrici un paio di decenni prima del voltare del ‘900. In questo caso ci troviamo di fronte a una piccola aia, con un cordone di covoni intorno, perché i chicchi di grano non saltino e si disperdano nella terra.
Pare un'aia un po' improvvisata, tra le colture promiscue di alberi da frutto, sotto cui a volte erano seminati anche i cereali. L'aia è di terra e su di essa sono stati sciolti i covoni, "la pisatùra", che, una volta scaldata dal sole, era sottoposta al calpestio degli zoccoli delle bestie: due buoi aggiogati, asino, mulo o cavallo, "parìcchju di vuóvi, ciucciu, mulu o cavàddru", come in questo caso. In alcuni paesi, come a Montecalvo Irpino (Av) e a Faeto (Fg), ho riscontrato che, in questo tipo di trebbiatura arcaica, si adoperava pure, nel primo caso un masso largo, piatto e ruvido con un foro al bordo, "lu tufu", nel secondo caso una sorta di grossa grattugia metallica con un masso pesante sopra, trainati dalla bestia con una lunga fune ancorata al suo collare.
Qui il conduttore guida il solo cavallo in modo che le spighe vengano disfatte, mentre l'assistente d'aia col forcone di legno, "l'arijarùlu", rivolta e sistema i mannelli, "li jiérmiti", per il successivo passaggio-pestatura del cavallo. Dopo la prima serie di passaggi sul grano, si rivoltava il tutto e si lasciava che il sole di luglio o agosto lo scaldasse bene e si procedeva poi a una nuova serie di passaggi, fino a che i chicchi di grano, "l'àcini di lu granu", erano separati dalla paglia, che a sua volta risultava abbastanza triturata, per essere adoperata come strame per le bestie in stalla o negli ovili. Lo stesso tipo di operazione si faceva pure per l'avena, l'orzo e la segale. Terminata la pestatura, si procedeva a rimuovere la paglia e poi, adoperando i forconi, si lanciava in aria ciò che era residuato sull'aia per la ventilazione, che consentiva la separazione dei chicchi di grano dalla pula, "la cama". Dopo di che si passava alla cernitura col crivello grande, "rijàla", o con quello piccolo, "cirnìcchju", per eliminare residui di paglia o pula e corpi estranei come sassolini e zollette di terra.Una volta riempiti i sacchi di grano e ammucchiata secondo tradizione la paglia, "réglia fatta da li rigliajuóli", si poteva ritenere conclusa la trebbiatura, che chiudeva il ciclo della coltura del grano, cominciata in autunno con la semina, "a simiéntu", proseguita con la concimazione e la rastrellatura, "cuncimatùra e rastiddratùra", all'uscita dall'inverno, sarchiatura e mondatura dalle erbacce in primavera, "saricatùra e ammunnatùra a pprimavèra", mietitura, "mititùra", all'inizio dell'estate e trasporto dei covoni all'aia, "carratùra", in prossimità della trebbiatura. (A. Siciliano – Zell, 7.10.2022)
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