giovedì, ottobre 23, 2025

Ricordato lo storico G. C. Marino. Dino Paternostro (Cgil Palermo): “Ha avuto il merito di mettere in evidenza con molta chiarezza il ruolo del movimento contadino e operaio di Palermo e della Sicilia nella lotta contro lo sfruttamento del lavoro da parte del padronato agrario e industriale“

L’intervento di Dino Paternostro

G. C. Marino (G. Porcasi)
“Contro l’inverno della memoria e della storia”. L’intervento di Dino Paternostro, responsabile dipartimento Archivio e Memoria storica , al convegno in ricordo del prof. Giuseppe Carlo Marino, svoltosi a Palermo il 22 ottobre 2025 presso l’Istituto Gramsci Siciliano ai Cantieri culturali alla Zisa  

DINO PATERNOSTRO

Giuseppe Carlo Marino è stato uno degli storici più importanti della Sicilia, che ha avuto il merito di mettere in evidenza con molta chiarezza il ruolo del movimento contadino e operaio di Palermo e della Sicilia nella lotta contro lo sfruttamento del lavoro da parte del padronato agrario e industriale. Ha analizzato anche il ruolo fortemente negativo della mafia, che ha frenato con la violenza e col sangue lo sviluppo economico, sociale e civile della Sicilia. Nella sua ricerca storica, il professore Marino ha valorizzatoil ruolo positivo svolto dal movimento sindacale nel sostenere i processi di crescita della città di Palermo, della sua provincia e dell’intera Isola. Ha sottolineato la determinazione e il coraggio di tanti dirigenti ed attivisti sindacali nel contrastare la mafia, a volte pagando l’impegno anche con la vita. Di questo ci parla nella sua “Storia della mafia”, edita nel 1998, e nell’importante volume da lui curato “La Sicilia delle stragi”, pubblicato nel 2007. 

Le sue ricerche hanno consentito la riscoperta e la conoscenza delle storie dimenticate di molti sindacalisti uccisi da boss e latifondisti ed hanno stimolato me personalmente e la Camera del lavoro di Palermo ad un impegno straordinario nella riscoperta della memoria storica coniugata all’impegno quotidiano per il lavoro e i diritti. Siamo sicuri che la produzione scientifica di Giuseppe Carlo Marino continuerà ad essere indispensabile per la lettura dei fatti e dei misfatti della Sicilia, dando utili indicazioni per il riscatto della nostra terra. 

Il prof. Marino ha rivisitato in maniera puntuale ed approfondita la figura umana e politica di Giovanni Orcel, a cui è intitolata la Camera del lavoro di Palermo, sottolineando il ruolo avuto - da dirigente della Cgil e da segretario dei metallurgici palermitani - nelle lotte del “biennio rosso” in Sicilia, tanto trascurato dagli storici in Italia. Ha affiancato alla figura di Orcel quella di Nicola Alongi, dirigente contadino originario di Prizzi, a cui nel 1997 ha dedicato un’interessante biografia politico-sindacale, che è anche uno spaccato delle dinamiche economico-sociali di Palermo e provincia. Ha raccontato di come «Orcel e Alongi furono saldamente insieme e resistettero entrambi in vita», nel fuoco del “biennio rosso”; di come «insieme si erano mossi nello scenario pubblico delle lotte e non soltanto per contingenti istanze di reciproco solidarismo»; di come «insieme avevano fatto confluire contadini in città a sostegno delle rivendicazioni operaie e operai nelle campagne a sostegno delle rivendicazioni contadine». 

In sostanza avevano anticipato la famosa teoria di Antonio Gramsci della necessità che gli operai e contadini, la città ela campagna, si unissero per contrastare e battere l’alleanza tra gli industriali del Nord e gli agrari meridionali. 

Alongi venne ucciso da sicari mafiosi a Prizzi la sera del 29 febbraio 1920. Poco più di 7 mesi dopo, la sera del 14 ottobre 1920, venne assassinato a Palermo anche Giovanni Orcel. Nell’immediato quest’ultimo assassinio fu attribuito alla “violenza fascista”.  Ma il fascismo almeno stavolta non c’entrava nulla. «E’ vero, invece, - ha scritto Marino - che l’assassinio è da attribuirsi a quel protagonista reale e ben radicato nella società e nella politica dell’isola, che era già allora la mafia. Per la corretta spiegazione del caso, di “violenza mafiosa” si deve pertanto parlare. Ne ebbe confusa intuizione (e invero non era di per sé una difficile intuizione) l’Avanti che parlò di “delitto della borghesia”, certo con la genericità del linguaggio tutto ideologico di quel socialismo d’epoca, ma che in terra siciliana non avrebbe potuto avere un senso concreto se non precisando che di “borghesia mafiosa” dovesse necessariamente parlarsi, poiché non altra era la vera natura del dominio di classe che per decenni aveva fatto capo al potere della grande famiglia imprenditoriale dei Florio e che politicamente si esprimeva in un “partito liberale (articolato  elettoralmente sul territorio in una selva di “partiti personali” e di diramazioni massoniche talvolta determinate a dirsi persino  “democratiche”)… che aveva annoverato, appunto, un “liberale” dalla caratura dell’ onorevole Vito Palizzolo (noto mandante del delitto Notabartolo e poi co-fondatore della Mano nera negli Usa)…».

L’eliminazione quasi contemporanea di Alongi ed Orcel«decapitò il nascente fronte rivoluzionario (un fronte già di per sé comunista ante litteram) di quella che può senz’altro indicarsi come la prima organica “alleanza tra città e campagna” della storia d’Italia, l’”alleanza” invano ricercata da Antonio Gramsci nell’Italia del Nord, dove ancora stentava a manifestarsi soprattutto per l’immaturità politica del mondo delle campagne».

Il 14 ottobre 1920 col delitto Orcel fu spezzato il filo dell’alleanza operai-contadini. Un fatto grave a cui sarebbero seguiti altri fatti delittuosi. Ci fu anche – scrive Marino - il «tentativo popolare di fare prevalere sulla calcolata impotenza della giustizia ufficiale e sull’invincibile sistema di omertà e complicità dei pubblici poteri, una tanto disperata quanto sommaria “giustizia proletaria”». A Palermo, infatti, domenica 23 gennaio 1921, alle 19,30, in via Lincoln, all’angolo con via Castrofilippo, un uomo cadde ucciso con una pugnalata alle spalle. Era don Silvestre "Sisì" Gristina, capomafia di Prizzi. Per la giustizia ufficiale questo delitto rimase un mistero. Solo nel 1971, grazie ad un reportage del giornalista de “L’Ora” Marcello Cimino, si scoprì che ad assassinarlo fu un gruppo ristretto di fidati compagni di Orcel ed Alongi, che avevano saputo per certo che era stato lui uno dei mandanti dei delitti Alongi ed Orcel.

Con «La Sicilia delle stragi», Marino ha voluto mettere in rilievo che soltanto la Sicilia ha vissuto un'esperienza di massacri così legata alla sua storia politica e sociale da farle assumere i caratteri, tanto dolorosi quanto funesti, di "terra delle stragi". Una lunga catena di assassinii programmati: fatti di Stato e di governo o di "anti-Stato" e di mafia. Eccezionale e forse unica la sua valenza, che consiste spesso in una quasi "pedagogica" determinazione di imperio e di assassinio, a suo modo razionale, fredda e tagliente come una spada.

Con quest’opera Marino ha voluto dare spessore storico e antropologico ad un insolito "mosaico narrativo" le cui "tessere" si devono all'impegno di ricerca e di scrittura di alcuni esperti di cose siciliane di vario mestiere, giovani o anziani: studiosi e scrittori, giornalisti, magistrati, testimoni autorevoli e bene informati.

Marino ha messo insieme diversi autori e sotto la sua abile regia è stata raccontata questa Sicilia delle stragi.  

«Sento l'esigenza di manifestare un'assai sincera gratitudine ai numerosi autori - ha scritto Marino nella prefazione - senza la cui operosità e gentilezza il libro non sarebbe mai venuto alla luce. (…) Ho operato per realizzare, sul tema delle stragi in Sicilia, una specie di "azione culturale" a più voci appropriandomi di un largo spettro di conoscenze, competenze, memorie storiche e semplici ricordi di scrittori già noti e autorevoli di cose siciliane (ma anche dei contributi offerti da alcuni eccellenti esperti delle materie trattate) con la collaborazione di diversi giovani appartenenti alla leva emergente del lavoro storiografico.

I vari autori sono stati davvero fiduciosi e pazienti nell'accettare di essere chiamati in causa un po' come degli attori per una "recita a soggetto" e di cominciare a scrivere i loro saggi sulla base di un canovaccio che solo successivamente ho trasformato, per restare alla metafora, in una vera e propria "sceneggiatura", costituita dal quadro interpretativo d'insieme che si legge subito dopo questa prefazione. Oltre che di un quadro interpretativo, si tratta di un profilo storico che muove da questioni teoriche relative alla definizione del concetto di "strage" e poi si svolge in una specie di mini storia ad hoc della Sicilia contemporanea periodizzata in modo da far risaltare i vari modelli di stragismo succedutisi nell’isola dall’età della formazione dello Stato unitario italiano agli ultimi decenni del XX secolo».

L’opera coordinata da Marino è arricchita dalla riproduzione di alcune opere del pittore di impegno civile Gaetano Porcasi, amico personale dello storico. Proprio a Marino il maestro Porcasi ha dedicato una tela che pubblichiamo sopra. 

Ed è quest’opera del prof. Marino che mi ha incoraggiato ed ha incoraggiato la Camera del lavoro di Palermo a sviluppare il massimo impegno per il recupero della memoria storica degli attivisti e dei dirigenti sindacali assassinati dalla mafia in Sicilia, spesso dimenticati. E’ nato così nel 1920 il saggio “La strage più lunga”, che ricostruisce per quanto possibile le loro biografie, correggendo anche errori macroscopici nella stessa trascrizione dei nomi. Contempoiraneamente, la Camera del lavoro, in collaborazione col comune di Palermo, ha elaborato ed attuato il progetto “le vie dei diritti”, che ha visto l’intitolazione di oltre 20 strade a sindacalisti uccisi dalla mafia.

Adesso pensiamo che i tempi siano maturi per provare a scrivere in maniera organica la storia della Camera del lavoro di Palermo, che il 1° settembre del 2026 compirà 125 anni. E anche in questo ci sta venendo in aiuto il prof. Marino. Nel settembre del 1981, per i “Quaderni” della Rivista “Sindacato”, pubblicata dalla CdL di Palermo,scrisse la prefazione ad un primo tentativo di ricostruire la storia della Cgil a Palermo e nella sua provincia. Era un lavoro che metteva insieme il saggio di Aurora Corselli (gli anni 1901-1904) e due saggi di Salvatore Miccichè (le vicende storiche fino al 1920). E Marino, pensando alla necessità di avere una storia più organica e completa del sindacato, dava dei suggerimenti che sono molto utili ancora oggi. Consigliava agli storici di scavare negli anni ’30, «nella prassi sociale della forza-lavoro, nei suoi rapporti con la politica e con le istituzioni statuali, nelle sue forme di organizzazione e di partecipazione coatta ai meccanismi di gestione dei “contratti collettivi” di lavoro nel quadro corporativo (…) troppo a lungo sottovalutate dalle ipotesi di ricerca fin qui perseguite, che non sono semplicisticamente rappresentabili in meri termini di fascismo e antifascismo, ma nella loro complessità di fenomeni sociali e “antropologici”, interni alla dialettica tra i processi territoriali-locali e i processi nazionali…».

Suggeriva di estendere la ricerca «all’intero orizzonte regionale», superando i ritardi che avevano fatto vedere il Sud e la Sicilia come una «grande campagna». Un limiteche aveva contribuito «a indirizzare le ricerche quasi esclusivamente verso il movimento contadino», nella convinzione «di una scarsa rilevanza (se non addirittura dell’inesistenza) del ruolo del movimento operaio in Sicilia». Occorre superare “l’agrocentricità” della ricerca storica, concludeva Marino, «per ritrovare l’intera gamma… delle peculiari forme assunte dalla “questione meridionale” in Sicilia e per ridefinirle e valutarne finalmente la portata storica (…), in un quadro organico-dialettico che non consente di separare la storia della città da quella della campagna, la storia degli operai a quella dei contadini…».


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