martedì, settembre 30, 2025

Palermo, Alaa, un permesso dopo 10 anni. "Credo ancora nella giustizia”

Alaa Faraj ieri sul sagrato della Cattedrale di Palermo 

Faraj, ritenuto uno scafista e condannato a 30 anni per strage, ha scritto un libro sulla sua storia: "Per me è stata una terapia"

DI CLAUDIA BRUNETTO

La domanda più difficile arriva quasi subito: «Come stai?». Come deve stare Alaa Faraj che per lo Stato italiano è un trafficante condannato a 30 anni e che ieri, con il primo permesso del tribunale di sorveglianza in dieci anni di carcere già scontati, era sul palco allestito nel sagrato stracolmo della cattedrale di Palermo per parlare del suo libro Perché ero ragazzo, pubblicato da Sellerio? Una serie di lettere ad Alessandra Sciurba, docente di filosofia del diritto conosciuta in carcere, che dopo la pubblicazione del libro ha il divieto assoluto di incontrarlo ancora. Almeno tra le sbarre.

«Dopo dieci anni in prigione mi trovo qui in mezzo al vostro affetto straordinario», dice Faraj, che oggi ha trent'anni. «La considero una grande vittoria, un dono. Ma la parola giusta è miracolo. Questo libro per me è stata una terapia». 

Accusato di essere uno degli scafisti nella traversata dell'agosto del 2015 in cui morirono 49 persone soffocate dentro la stiva, Faraj, ancora ieri, proclamava la sua innocenza. «Per la giustizia italiana sono un trafficante, uno stragista», ha detto. «Ma essere con voi stasera ha cancellare anche questo. Non attaccherò mai le istituzioni e la giustizia italiana. C'è chi lo farà per me, dimostrando la mia innocenza in un'aula di tribunale. Non cercherò mai compromessi, né scorciatoie. Ci riusciremo. Sono qui per parlare di umanità e cultura». E poi una parola ricorrente: grazie. «Un immenso grazie a tutti quelli che mi sostengono», dice. «Una parte dell'Italia mi ha condannato, ma sarò sempre grato a quell'altra parte dell'Italia che mi ha salvato, agli uomini e alle donne della Guardia costiera. Dieci anni fa sono partito dalla Libia per fare il calciatore e studiare Ingegneria. Il primo sogno non posso più realizzarlo, ma i campi di calcio mi vedranno ancora come allenatore. Il carcere mi ha dato l'opportunità di continuare a studiare». Un grazie speciale a Gustavo Zagrebelsky collegato ieri alla presentazione del libro. «Alaa si batte per coloro che si trovano nella sua condizione. Una testimonianza civile che vale per tutti», ha detto Zagrebelsky. 

Dell'Italia che sognava quando aveva solo 20 anni tanto da decidere di affrontare il viaggio in mezzo al mare alla ricerca di un futuro migliore, Faraj conosce solo tribunali e carceri. «Alaa ha una forza interiore enorme», dice Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, sul palco al fianco del giovane libico. «Non sta lavorando per se stesso: lui crede che sia ancora possibile seguire la via della libertà e della verità. Lo fa perché quello che è accaduto a lui non accada più a nessun altro». La fine pena di Faraj è prevista per il 15 agosto del 2045. «Servivano capri espiatori, Alaa e i suoi amici erano perfetti», spiega Sciurba. «Questo libro è la storia delle condanne ingiuste di chi attraversa il mare».

la Repubblica, 30 settembre 2025

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