lunedì, gennaio 14, 2013

Corleone. Salviamo la Chiesa di S. Marco (e tanto altro)!

La Chiesa di San Marco
di NONUCCIO ANSELMO
Caro direttore,
scrivo questa lettera anche sulla spinta di alcuni amici. E vorrei subito cominciare con due "messe a punto" generali. La prima: questa lettera non nasce contro qualcuno, ma a favore di questo paese e dunque, se nel tempo non avrà risposta, diventerà inevitabilmente "contro" qualcuno. Non per mancanza di attenzione all'autore, ma perché i nostri figli, nipoti, pronipoti eccetera - i cosiddetti posteri - scopriranno  che se sono diventati più poveri sarà pure colpa di qualcuno di cui la storia tramanderà nomi e cognomi. La seconda: per fare un discorso completo sull'argomento che vado ad affrontare, occorrerebbero almeno una decina di queste lettere, ma non posso e non voglio abusare. D'altra parte, a mettere troppa carne su una sola graticola, si corre il rischio di lasciarla cruda e quindi di gettarla via tutta. Dunque, mi debbo contenere.
Scrivo per parlare della chiesa di San Marco, anzi del rudere della chiesa, di cui una mia amica è innamorata. E' lei che mi ha spinto a questa lettera.

            Lo so, sto perdendo del tempo per parlare di un rudere di cui cade una pietra al giorno al primo soffio di vento e che ormai non è più buono, come in passato, neanche per fare da casa alle capre. Spero sarò perdonato se sono un perditempo che ruba spazio per queste storielle in un momento in cui le priorità sono ben altre, come per esempio fare arrivare a fine mese le famiglie con un minimo di tavola imbandita e il comune col necessario per non dichiarare bancarotta.
            Potrei fare l'avvocato difensore di questo rudere per chiedere agli onorevoli giudici se non sia il caso di metterlo in sicurezza, di procedere ad un minimo di restauro e di renderlo fruibile. Ma è un rudere senza tetto: ne varrà la pena? Qualcuno, certamente meno illuminato e molto più spendaccione, è andato niente meno a restaurare - non mi spingo fino a indicare alcune certose della Toscana - un rudere vicino a noi: lo Spasimo di Palermo. Figuratevi che qualche turista abbocca e va a vedere quella cosa affascinante che ha per tetto il cielo, dove si tengono conferenze e incontri di vario tipo.
            Potrei fare l'avvocato difensore e parlare di questa antichissima chiesa dedicata all'Evangelista - la cui immagine ormai "riposa" a San Leoluca - arrivata fino a noi, prima di crollare pezzo dopo pezzo, nella sua versione settecentesca di barocco dei poveri.
            Potrei anche ricordare che proprio nell'allora incontaminato pianoro attorno alla chiesa si svolgeva - prima che se ne impossessasse la Compagnia del Santissimo Sacramento - la grande fiera annuale di primavera, nel giorno dell'Evangelista. Non era solo un mercato, per quanto importante e vitale, che consentisse di prepararsi adeguatamente alla nuova stagione, ma era soprattutto - grazie ai mercanti che arrivavano dai posti più svariati in un'epoca in cui viaggiare poteva essere un rischio mortale, tanto da indurre a far prima testamento - il momento in cui un povero paese sperduto tra le colline e le montagne della Sicilia, veniva a contatto con il mondo e con la storia.
            Potrei anche ricordare che quella fiera si svolgeva lì probabilmente perché non c'era un vuoto tra il paese e la chiesa, ma c'era in mezzo il quartiere degli ebrei, tradizionalmente commercianti, poi cacciati via; che l'Evangelista era il patrono di una grande e potente confraternita bianca, i cui membri, non certo ricchi, investivano nell'abito di compagnia, che diventava una sorta di dote da tramandare da padre in figlio.
            Potrei ricordare le mille leggende di magie e truvature che hanno costruito attorno alla chiesa - continuata con ciò a vivere nel cuore dei corleonesi anche quando era già rudere - un'aura di mistero e di sogno e potrei perfino ricordare che queste leggende nascevano forse dal fatto che su quel pianoro si issavano anche le forche per eseguire le condanne a morte.
            Ho scritto in un mio libro che quel pianoro, cui faceva guardia la chiesa dell'Evangelista, fu in un particolare momento storico durato un paio di secoli - tra i banchi dei commercianti e le forche del potere - il palcoscenico della vita e della morte del paese. Insomma, potrei ricordare la lunga storia che giustificherebbe una bonifica della zona, un restauro e un paletto con la scritta "Chiesa di San Marco Evangelista" in un posto ormai scansato perfino dalle capre, che prima erano lì di ovile.
            E c'era bisogno di tutto questo ambaradan per un rudere cadente? Forse sì, forse no, dipende dai gusti. Questo però e il motivo per cui ho detto che di lettere così me ne servirebbero una decina. Perché per esempio si potrebbe parlare del tetto crollato a Sant'Andrea; dell'area delle Due rocche bonificata, chiusa, abbandonata e rimandata alle ortiche dalla stessa amministrazione che l'aveva recuperata; della Colonia Firmaturi che sta crollando nel silenzio generale più assurdo - vedere lo scalone e la cima della torretta - e che forse sarebbe meglio, forse perfino doveroso, restituire ai privati.
            Ma anche tutte queste immagini dello scempio, potrebbero non servire a nulla prese così, isolatamente. Il discorso è ben più complesso e contemporaneamente semplice: chi siamo, cosa vogliamo, dove andiamo, che futuro vogliamo dare al paese. Per favore, scordiamoci l'industria; vediamo di rimettere in carreggiata l'agricoltura, le imprese della trasformazione e l'artigianato con criteri e voglia moderni. Ma la ricchezza potrebbe venire anche da un'altra fonte.
            Corleone, nel bene e nel male, ha un nome nel mondo. I danni fatti sono fatti, il lavoro per la trasformazione dell'immagine è stato encomiabile e deve continuare. Ma queste sono considerazioni più "politiche". Tornando alla ricchezza, dollari ed euro sfilano ogni giorno per via Bentivegna, lasciati alla ventura come pecore, senza guida e senza pastore. Che è già una mancanza di rispetto per i visitatori che arrivano a casa nostra. Da dove vengono, dove vanno? E soprattutto quanto spendono in rapporto a ciò che vedono?
            A parte il poster del "Padrino" sul muro del bar Ruggirello, davanti a cui fare una foto, le nostre ricchezze, le nostre cose da vedere, quelle vere, sono sepolte. Chiuse le chiese; disperso quel grande patrimonio di statue, di quadri, di oreficerie; scollegati i centri museali,  lontani i "punti panoramici", senza accesso sicuro il castello soprano, bloccato dalla clausura il castello sottano, senza finanziamenti e campagne certe gli scavi sulla Vecchia dove potrebbero venir fuori nuovi, importanti reperti (ma se anche venissero, come un visitatore potrebbe arrivarci?)
            Allora il discorso principale è appunto di futuro. Si torna a quel minimo di tavola imbandita alla fine del mese. Corleone è stata paese del feudo, grande centro granario, capitale contadina, perfino capitale della mafia (e spero non ci sia il solito pierino che mi indicherà come nostalgico). Oggi è orgogliosamente città. Ma che città è? Che città sarà? Qual è il progetto?
Nonuccio Anselmo

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie

pino badalamenti ha detto...

niente storia se non si ha memoria
pino badalamenti corleonese del 1938