lunedì, ottobre 20, 2025

La repressione militare è un’illusione, a Palermo e in Sicilia la lotta alla mafia comincia a scuola


GIUSTO CATANIA

Le analisi sull’omicidio di Paolo Taormina non possono ignorare il ruolo della mafia, che oggi vive e opera silenziosamente. La cultura mafiosa non si può contrastare sul terreno militare, ma su quello educativo

L’omicidio di Paolo Taormina, avvenuto nel cuore della notte palermitana a pochi metri dal Teatro Massimo ha aperto un dibattito surreale sulla sua matrice criminale. Tra gli opinion leader che alimentano il dibattito social e i commentatori dei quotidiani nazionali si è dispiegata una sequela di dissertazioni con risposte prêt-à-porter per tutti i gusti. Le cause di questa cinica esecuzione sono state ricercate nella proliferazione di immagini violente su Tik Tok; si è dissertato, con dovizia di particolari sociologici, sulla natura criminogena di Instagram e Facebook; sulla vocazione omicida della movida notturna. Si è teorizzata perfino la dismissione delle aree pedonali, che favoriscono la concentrazione di giovani alcolizzati e drogati, e si è giunti alla conclusione che i modelli televisivi, come Mare Fuori e Gomorra, moltiplicano la violenza: «Tutta colpa di Saviano!».

FATTI

Sono apparse anche analisi più raffinate che hanno attribuito alla scuola, in particolare alla fine del modello educativo incardinato su rigore e gerarchia, la causa del degrado morale che si è abbattuto sui giovani di oggi. Un’analisi così sommaria produce risposte altrettanto sommarie. E così il ministro degli Interni, col supporto del sindaco di Palermo e del Presidente della Regione siciliana, ha deciso di aumentare il controllo militare del territorio, moltiplicare i dispositivi di video-sorveglianza, istituire tre zone rosse (sic!) con l’espulsione immediata di facce losche dalle aree del divertimento notturno. E non sono mancati, ovviamente, gli appelli alle scuole, soprattutto a quelle che operano nelle grandi periferie urbane, ad educare i giovani al rispetto della legalità e alla non-violenza.

LA MAFIA AGISCE NEL SILENZIO

Tutto (quasi) giusto ma manca un pezzo fondamentale che, nella città di Palermo, non può essere un aspetto derubricato: il ruolo della mafia. Per usare le parole di Attilio Bolzoni, viviamo in un tempo in cui «c’è sempre più mafia e ci sono sempre meno mafiosi». La mafia è diventata invisibile, è stata estromessa dal dibattito pubblico, non è più un argomento presente nei talk show televisivi anche perché dopo l’arresto e la morte dei boss più famosi si è ritenuto, erroneamente, che il fenomeno fosse stato estirpato. Perfino le stragi mafiose sono diventate fenomeni irrilevanti della storia della Repubblica. Forse inconsciamente si ignora che il silenzio è il terreno più fertile in cui la mafia agisce e fa affari milionari.

FATTI

Non è neanche immaginabile che a Palermo, nel 2025, non ci sia la testa e la mano di Cosa nostra sulla preoccupante proliferazione di armi da sparo, sul controllo delle piazze di spaccio, sulla diffusione della cocaina e del crack tra i giovanissimi, sulle attività commerciali che spuntano come funghi nelle strade del Centro storico, sul controllo e sulla spartizione del territorio, sulla diffusione a macchia d’olio dei luoghi di ricezione turistica, sul mercato del lavoro nero, informale e senza la giusta retribuzione.

Dentro questo scenario bisognerebbe leggere i delitti palermitani di questi ultimi mesi: è in atto una contesa per spartirsi gli spazi di agibilità criminale, per stabilire chi comanda fuori dal carcere. Le categorie di interpretazione della società e dei suoi fenomeni devianti non sono mai equiparabili. La tragica uccisione di un giovane di venti anni come Paolo Taormina non è uguale al terribile omicidio del giovane Willy Monteiro.

È vero che la televisione e i social, cosi come le canzoni neo-melodiche o i trapper con crocifissi al collo e mitra tra le mani, costruiscono un immaginario probabilmente con maggiore efficacia dell’educazione scolastica. Ma c’è una differenza sostanziale tra l’immaginario criminale e il sistema mafioso. La mafia è forte perché è un sistema complesso in grado di coniugare azioni violente e penetrazione culturale nella società. E quest’ultimo aspetto è quello più forte, più difficile da estirpare, più pervasivo e radicato nella società. 

La mafia non si sconfigge solo sul terreno militare, altrimenti sarebbe già scomparsa: limitarsi alle azioni repressive contribuisce a mitigare il fenomeno ma non ad eliminare la cultura mafiosa contro la quale serve un lavoro educativo di lunga durata, proprio quello che caratterizza l’attività del mondo della scuola, a Palermo e in Sicilia.

CULTURA ANTIMAFIA NELLA SCUOLA

La scuola è un’istituzione (forse l’unica) della Repubblica che sta costruendo una strategia contro la cultura mafiosa. Con questo obiettivo è nata, da qualche anno, la Rete per la cultura antimafia nella scuola che sta sviluppando una seria riflessione per connettere percorsi educativi con gli appuntamenti del calendario civile dell’antimafia, non in modo effimero ma strutturati dentro la quotidiana pratica scolastica. Alla Rete hanno aderito già 167 scuole della Sicilia che stanno lavorando insieme per riconoscere la cultura mafiosa, quella che tende a nascondersi dentro spazi di legalità, che si infiltra nelle istituzioni, nei santuari della finanza, negli interstizi del riciclaggio di denaro sporco attraverso operazioni economiche lecite e legali.

La scuola siciliana lavora, ogni giorno, per insegnare a distinguere i comportamenti moralmente irreprensibili dalla legalità apparente, fittizia ed artificiosa. L’impegno educativo è proteso a riconoscere la pervasività della mafia nei comportamenti quotidiani, perché la mafia è una holding che usa il crimine per accrescere il proprio potere politico, la sua forza economica e l’egemonia culturale.

È diventata una priorità della scuola attivare percorsi pedagogici e didattici tendenti a rafforzare una cultura antimafia, sottraendo la battaglia delle idee al protagonismo leaderistico degli «antimafiosi di professione» ed evitando che il contrasto alle mafie sia compito esclusivo dei magistrati e delle forze dell’ordine. Qualche seme comincia a germogliare e la manifestazione degli studenti e delle studentesse delle scuole palermitane, nel giorno dei funerali di Paolo Taormina, è stato un evidente segnale di consapevolezza, a conferma che una diffusa mobilitazione delle nuove generazioni può costruire una cultura antimafiosa.

domani.it, 20/10/2025

Nessun commento: