
Sigfrido Ranucci
GAETANO MANNINA
Questa notizia è un pugno nello stomaco e ha il merito di non lasciare scampo alle ipocrisie. Io aggiungo solo una riflessione: l’eroe non serve alla famiglia, serve alla collettività come misura di quanto manca allo Stato. Il problema è che da troppi anni usiamo la misura-eroe come alibi: “Tanto c’è Ranucci, c’è Saviano, c’è chi ci mette la faccia… e noi possiamo dormire”.
1. Il teatrino della memoria
«chi deve fare giustizia fa solo teatrino e sfilate commemorative» questo è il cuore del sistema:
processi-lampo per i poveracci, processi-luna-park per i potenti;
fondi per la scorta che arrivano sempre in ritardo, fondi per le cerimonie che arrivano puntualissimi;
strade intitolate il giorno stesso dell’agguato, indagini che non partono nemmeno il giorno dopo.
È la commemorazione come ammortizzatore sociale: se piango, se faccio il minuto di silenzio, se metto la foto sul profilo, ho già pagato il mio debito di cittadinanza e posso tornare alla serie Netflix.
2. L’eroe è l’eccezione che conferma la regola del disimpegno
Il giornalista che non si piega diventa specchio rovesciato: mostra quanto sono piegati tutti gli altri. E allora lo isoliamo, lo mettiamo in vetrina, lo premiamo – purché continui a fare il lavoro sporco che lo Stato non fa.
Il premio è la scorta, non la giustizia.
Il premio è il tweet di solidarietà, non il processo per i mandanti.
3. Il rischio vero: la normalizzazione del rischio
Quando Ranucci dice «ho trovato due proiettili della P38 un anno fa» e non li pubblicizza, sta internalizzando la logica del sistema a somiglianza mafiosa: «Se parlo, peggio; se taccio, forse passa».
È lo stesso meccanismo che ha portato mio padre a lasciare la politica: la violenza non serve a uccidere solo il corpo, serve a uccidere la voce pubblica .
4. Serve una cittadinanza orfana
La domanda «fino a che punto un uomo può rischiare?» ha una risposta politica, non etica:
finché lo Stato gli fa mano libera anziché copertura;
finché il rischio è solo suo anziché essere distribuito su centinaia di cronisti, magistrati, attivisti;
finché la società accetta che l’eroe sia la soluzione invece di denunciare che è la prova del fallimento .
5. Così non serve nemmeno l’eroe
L’unico modo per non dover più piangere l’eroe è rendere la sua azione ordinaria:
processi rapidi e pubblici per chi minaccia;
fondi certi per chi indaga e per chi informa;
cultura della denuncia nelle scuole, nei sindacati, nei bar;
premi economici reali per chi fa inchiesta, non solo premi morali postumi .
Finché questi strumenti civici non esistono, l’eroe è un surrogato di democrazia – e noi siamo tutti complici di quella bomba sotto l’auto, perché abbiamo accettato che la verità sia un lusso per pochi coraggiosi invece di essere un diritto di tutti.
Per questo la solidarietà a Ranucci non può essere solo un abbraccio morale: deve essere una richiesta di conto allo Stato e a noi stessi – oggi, non dopo il prossimo funerale.
Gaetano Mannina
18/10/2025
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