mercoledì, dicembre 03, 2025

SORTINO (SR) 1941: L’ESPOSTO PER UN SUSSIDIO REVOCATO CHE TRASFORMÒ UNA PROTESTA PRIVATA IN CONFINO DI POLIZIA


di LAURA LIISTRO

Nei fascicoli della Commissione Provinciale di Siracusa, la vicenda di Corrado Gozzo e Lucia Pistritto può sembrare un caso marginale, di poca importanza. Eppure, riletta oggi, rivela la meccanica esatta con cui - in pieno periodo fascista - una contestazione privata poté trasformarsi, nel 1941, in un atto considerato destabilizzante per l’ordine pubblico. 

Tutto inizia nel marzo 1940, quando all’avvocato Gozzo viene revocato un sussidio economico che la famiglia percepiva da tempo. La decisione dà il via a una serie di lamentele crescenti, indirizzate contro il commissario prefettizio e la gestione dei viveri. La popolazione ascolta ma non partecipa. Le parole dei due coniugi si inseriscono nel malcontento dei razionamenti, ma rimangono isolate. 

I rapporti della pubblica sicurezza descrivono pressioni costanti, toni accesi, interventi pubblici frequenti e non sempre mirati. 

In questo contesto, il 30 aprile 1941 Gozzo redige un esposto alla Federazione dei consumi di Siracusa, firmato anche dalla moglie. Il documento, ricco di accuse ma povero di prove, attira l’attenzione del regime più della protesta stessa.


L’arresto rapido e un confino “amministrativo”

Il 12 maggio 1941 scatta l’arresto per attività sobillatrice contro le autorità comunali. La Commissione Provinciale dispone un anno di confino a Tolve. È un provvedimento tipico della fase più rigida del fascismo: reprimere immediatamente ogni forma di contestazione, anche quando priva di reale peso politico. 

A Tolve, i coniugi vivono condizioni relativamente migliori rispetto ad altri confinati: l’avvocato ottiene di esercitare la professione e la famiglia può rimanere unita. E, dopo nove mesi, la pena viene commutata in ammonizione.


Una protesta isolata che diventò un caso politico

Terminato il periodo di sorveglianza, i due chiedono di restare a Tolve, dove dichiarano di poter lavorare meglio che a Sortino. La richiesta viene accolta. Resta però la domanda: perché una protesta privata, senza risvolti politici, poté essere trattata come pericolosa? Evidentemente, l’insistenza della coppia, la mancanza di una dimensione collettiva e il tono talvolta provocatorio dei loro interventi pubblici contribuirono a formare, agli occhi delle autorità, l’immagine di un rischio per l’ordine locale. 

In un sistema fondato sul controllo sociale capillare, anche un dissenso minimo poteva essere classificato come minaccia.

Il fascicolo Gozzo–Pistritto rimane così una piccola storia rivelatrice del funzionamento del regime fascista: perfino una voce isolata, se ostinata e mal tollerata, poteva diventare un caso politico.

Se confrontati con i confinati politici che lottavano contro il regime con rischi concreti e atti di solidarietà e coraggio, Corrado Gozzo e Lucia Pistritto appaiono come protagonisti di un dissenso circoscritto, mosso più da motivazioni personali che da ideali di giustizia o libertà. 

La loro ostinazione nel protestare non si tradusse in azioni di resistenza tangibili, né generò cambiamenti significativi. 

Eppure, proprio perché deboli nella loro opposizione, furono colpiti senza pietà da un apparato repressivo implacabile. 

Dopo la guerra, la stessa società che li aveva condannati voltò lo sguardo altrove: dimenticò rapidamente chi aveva sostenuto Mussolini e premiò chi, con calcolato opportunismo, si era allineato al nuovo Stato repubblicano, rivestendo poi un’aura di rispettabilità e legittimità che nulla aveva a che fare con il merito o con il coraggio. 

La storia di Gozzo e Pistritto diventa così testimonianza amara di una giustizia piegata all’opportunismo e alla convenienza di particolari periodi storici. 

Laura Liistro

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