domenica, dicembre 07, 2025

Fragilità senza risposta: da Corleone un monito per tutto il Paese

A sx: le vittime della tragedia di Corleone; uno scorcio della via dove la famiglia abitava 

LAURA LIISTRO

A Corleone una donna di 78 anni, Lucia Pecoraro, avrebbe ucciso la figlia disabile, Giuseppina Milone, 47 anni, e successivamente si sarebbe tolta la vita. 

L’episodio, avvenuto nel centro storico e scoperto dai carabinieri e dai sanitari del 118, non è soltanto una tragedia personale, ma un segnale che richiede una riflessione critica: molte famiglie che affrontano situazioni di fragilità complessa vengono lasciate quasi completamente sole, con supporti istituzionali e psicologici spesso insufficienti o difficili da raggiungere.

La donna, rimasta vedova otto mesi fa, si era ritrovata a gestire da sola la figlia affetta da una forma di autismo e una quotidianità divenuta sempre più gravosa.

Questa vicenda porta alla luce una realtà che in Italia rimane spesso sommersa: la solitudine dei caregiver, degli anziani che accudiscono figli disabili, delle famiglie che convivono con malattie croniche, dipendenze, disagio psicologico o semplice, devastante solitudine. 

Spesso il peso emotivo, fisico ed economico diventa insostenibile, mentre chiedere aiuto comporta ostacoli burocratici o la paura di essere fraintesi o giudicati.

È evidente la necessità di un ripensamento strutturale: l’Italia avrebbe bisogno di una voce unica nazionale, un sistema capace di offrire ascolto tempestivo, sostegno psicologico immediato e orientamento ai servizi. 

Un numero attivo 24 ore su 24, accessibile a chiunque si trovi in un momento di difficoltà – dalle famiglie con disabilità alle persone che affrontano dipendenze, ansia, isolamento o il semplice bisogno di raccontare il proprio disagio.

Accanto a questo, servirebbero sportelli territoriali realmente operativi, capaci di riconoscere e intercettare precocemente condizioni di vulnerabilità, prima che la sofferenza sfoci in gesti irreversibili. 

I Comuni, pur volenterosi, spesso si trovano impotenti di fronte a certe problematiche: le risorse sono limitate, il personale insufficiente e troppo spesso si pretende che le istituzioni locali risolvano da sole questioni che richiedono invece una rete più ampia, fatta non solo di strutture formali ma di presenza umana reale, costante, empatica perché la forza di una comunità non può essere solo burocratica: deve essere umana.

La tragedia di Corleone mette inoltre in evidenza una verità che la società fatica ad affrontare: lo sconforto e la solitudine stanno diventando una malattia sociale diffusa, trasversale a età, condizioni economiche e contesti familiari. Non è un problema individuale né un fallimento delle persone coinvolte: è il sintomo di un Paese che non ha ancora costruito strumenti adeguati per proteggere chi vive ai margini della fragilità emotiva e materiale.

Quando la solitudine diventa cronica e l’assistenza quotidiana non è condivisa da una rete di supporto, il rischio è che il dolore si trasformi in disperazione.

Le istituzioni, specialmente nei piccoli Comuni, si trovano spesso senza mezzi, senza personale e senza strutture sufficienti: un’impotenza che riflette la necessità di un cambiamento profondo, condiviso, nazionale.

Riconoscere la solitudine come una malattia sociale è il primo passo. 

Il secondo è intervenire con politiche concrete, servizi presenti e una cultura collettiva che torni a prendersi cura delle persone più vulnerabili.

Solo così tragedie come quella di Corleone potranno diventare l’eccezione e non il segnale di un Paese che si sta abituando a convivere con il dolore invisibile dei suoi cittadini.

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