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Certificato nomina di Eletto per Sebastiano Riggio (Archivio storico di Siracusa, 1826) |
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| Solarino antica |
Nel frammentato mosaico amministrativo dell’Italia preunitaria, le comunità locali erano rette da figure oggi quasi dimenticate, ma allora decisive per la vita quotidiana. Tra queste, l’“Eletto di polizia” occupava un ruolo centrale, soprattutto nei piccoli centri rurali della Sicilia borbonica.
A Solarino, nel dicembre del 1826, anno prima del decreto del 20 dicembre 1827 con cui Francesco I di Borbone, re delle Due Sicilie, concesse l’autonomia amministrativa al «Comunello di San Paolo Solarino» , tale funzione venne affidata a Don Sebastiano Riggio, notabile e amministratore dei beni de Requesens, nominato ufficialmente “Eletto di polizia ed ufficiale dello stato civile” dal 5 al 31 dicembre 1826. Fu un incarico breve, ma altamente rivelatore del funzionamento istituzionale dell’epoca.
Polizia, potere e controllo locale
Il termine “polizia” inganna: nell’Ottocento borbonico non indicava soltanto la sicurezza pubblica, ma un ampio ventaglio di funzioni civili e amministrative.
L’Eletto vigilava sull’ordine, sull’igiene pubblica, sulle attività economiche, sulla riscossione di alcuni tributi, sul movimento di persone e merci, fungendo da tramite tra il paese e le autorità superiori. Una figura ibrida, a metà tra amministratore locale e garante dell’ordine, spesso scelta all’interno delle famiglie più influenti del territorio.
La nomina di Riggio, come quella degli altri Eletti dell’epoca, non avveniva tramite suffragio popolare.
A scegliere queste figure erano ristrette cerchie di notabili: proprietari terrieri, possidenti, membri delle famiglie dominanti.
Un sistema che preservava equilibri consolidati e riproduceva logiche di potere quasi feudali, nonostante le riforme borboniche del primo Ottocento.
L’Eletto, inoltre, operava sotto il controllo diretto delle autorità provinciali e del governo centrale: la sua autonomia era limitata e attentamente monitorata.
In molti piccoli centri, la gestione dello stato civile era affidata agli stessi funzionari che ricoprivano incarichi amministrativi.
Così anche Sebastiano Riggio: responsabile non solo dell’ordine pubblico, ma anche dei registri di nascite, matrimoni e decessi.
Una funzione cruciale per il controllo sociale e l’organizzazione della comunità.
La nomina di Riggio va contestualizzata in un territorio che negli anni Venti dell’Ottocento viveva una trasformazione profonda: il declino delle ultime strutture feudali, l’irrigidimento del controllo borbonico, l’introduzione di nuovi regolamenti amministrativi. L’Eletto di polizia rappresentava il punto di equilibrio — o di tensione — tra la modernizzazione calata dall’alto e le esigenze quotidiane della comunità locale.
Figure come Riggio appaiono in pochi documenti polverosi, ma furono protagoniste silenziose della vita quotidiana dei paesi siciliani.
La loro attività racconta un’Italia lontana dalla nascita dello Stato unitario, un’Italia dove potere, famiglia, tradizioni e controllo centrale si intrecciavano in un equilibrio delicato.
Dall’amministrazione degli Eletti alla politica moderna: ciò che è cambiato e ciò che resta
Riflettere sulla figura dell’Eletto di polizia significa confrontarsi con un’epoca in cui la politica era affare di pochi.
Un tempo in cui autorità, rappresentanza e trasparenza erano concetti limitati o inesistenti, e la gestione della comunità era spesso appannaggio delle élite locali.
Dall’Italia preunitaria a oggi, il percorso è stato lungo: dall’amministrazione dei notabili si è passati al Comune moderno; dal potere calato dall’alto si è giunti alle assemblee elettive; dalle logiche familiari si è arrivati, almeno in teoria, a quelle della rappresentanza democratica.
Eppure, alcune dinamiche sembrano sorprendentemente resistenti.
Il potere continua spesso a concentrarsi nelle mani di pochi, sotto forme nuove ma con antiche radici.
Non di rado, l’ascolto delle comunità resta insufficiente, mentre cresce il divario tra cittadini e istituzioni.
Guardare alle figure come Sebastiano Riggio non è un esercizio di nostalgia archivistica, ma un invito a comprendere quanto del nostro passato continui a modellare — e a condizionare — il presente. La storia diventa così una lente critica: per misurare i passi compiuti e, soprattutto, quelli ancora necessari per costruire una politica davvero vicina alle persone.
Laura Liistro


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