
Il tribunale di Termini Imerese
«Il mio papà mi ha toccata, io ho detto levati, levati. Ma lui ha continuato». Non c’è bisogno di descriverlo per comprenderne l’orrore. Basta il peso delle sentenze per capire che anche dentro le mura domestiche esistono confini che non possono essere superati. È da qui che prende forma una vicenda che riguarda una bambina di 9 anni, all’epoca dei fatti.
La Corte d’appello, presieduta da Sergio Gulotta, ha condannato il padre a 12 anni e 5 mesi di carcere per gli abusi sessuali, confermando così il verdetto pronunciato in primo grado dal tribunale di Termini Imerese. Una decisione che mette un punto fermo su una ricostruzione che i giudici hanno ritenuto pienamente provata: ribadite anche l’interdizione dai pubblici uffici e la decadenza dalla responsabilità genitoriale.
Nel procedimento la piccola è stata assistita dal curatore speciale Maria Zito Plaia, mentre la madre si è costituita parte civile, assistita dall’avvocato Pierfranco Puccio.
La vicenda risale alla metà di febbraio dell’anno scorso.
La bambina viveva con la mamma e il nuovo compagno: i genitori, infatti, si erano separati da tempo e avevano anche un figlio più piccolo. In una serata segnata da una lite con il convivente, al punto da rendere necessario l’intervento dei carabinieri, la donna decise di mandare i bambini a casa del padre. Una scelta presa sul momento, per sottrarli a una situazione che stava degenerando. Fu lui stesso ad accompagnarli nella propria abitazione, in un paese del Corleonese. Secondo quanto accertato nel processo, la violenza sarebbe avvenuta nel letto matrimoniale dove dormiva anche il fratellino di sei anni: non si sarebbe trattato di un caso isolato, ma di due distinti episodi avvenuti nel corso della stessa notte.Da quel momento la bambina ha cominciato a manifestare un forte disagio fino a raccontare alla madre quanto era accaduto. All’inizio aveva faticato a crederle, poi, dopo aver ascoltato la storia delle molestie, aveva deciso di portarla in ospedale. Qui la minore era stata visitata e sottoposta agli accertamenti: i riscontri clinici, pur con le cautele dei medici, erano risultati coerenti con quanto riferito portando così alla segnalazione alle forze dell’ordine e all’attivazione delle procedure previste per i reati legati alle violenze sessuali, a partire dall’inserimento di entrambe in una comunità protetta in maniera da allontanarli da un contesto tossico.
Nel corso delle indagini la bambina era stata ascoltata in audizione protetta, con il supporto di uno specialista, raccontando tutto in modo spontaneo e mantenendo una versione ritenuta coerente nel tempo.
Anche il fratello minore era stato ascoltato con le stesse modalità, contribuendo a chiarire il contesto familiare. Successivamente, durante l’incidente probatorio, entrambi si erano chiusi nel silenzio più assoluto. Una scelta che le valutazioni tecniche hanno ricondotto al tempo trascorso e al carico emotivo della vicenda, elementi che però non avrebbero inciso sull’attendibilità di quanto era emerso durante il dibattimento. «La minore non ha mai mostrato cedimenti, ribadendo nel tempo la veridicità delle accuse anche quando percepiva dubbi o mancanza di fiducia», hanno scritto i giudici.
GdS, 20/12/2025

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