di GIOVANNI BURGIO
50 gli arresti nei due mandamenti
I provvedimenti restrittivi eseguiti a Palermo il 10 dicembre 2025 nei confronti di 50 appartenenti alle cosche della Noce, Brancaccio, Sperone e Bonagia, confermano che la struttura dell’attuale Cosa Nostra palermitana si regge ancora sulle rigide regole che per tanti anni hanno governato questa organizzazione criminale.
Trasmissione del potere preferibilmente familiare, rispettoso riconoscimento fino alla morte dei vecchi boss, rigida gerarchia, affiliazioni controllate e selezionate. Oltre, naturalmente, una divisione del territorio da tutti quasi sempre applicata e osservata.[1]
IL TURN OVER FAMILIARE
Fausto Seidita, qualche mese dopo l’arresto del fratello Giancarlo avvenuto il 25 maggio del 2022, aveva già preso il comando sia della famiglia di Cruillas che dell’intero mandamento della Noce. Dopo aver fatto da autista e da accompagnatore al fratello, prendeva parte infatti a due riunioni con altri boss di spessore, certificando così il suo nuovo importantissimo ruolo di vertice.
Stesso percorso per Vincenzo Tumminia, anche se un po’ più sofferto. Dopo l’arresto del fratello Pietro il 19 luglio 2022, aveva dovuto accettare che la reggenza della famiglia di Altarello rimanesse ad Antonio Di Martino. Alla morte di quest’ultimo, finalmente, gli viene riconosciuta la funzione di capo.
Ma sopra a tutti, quasi con un ruolo “sovraordinato”, ci sta Piero Di Napoli, lo “Zio Pierino”, classe 1939. Reggente del mandamento della Noce fino al 2006, ha continuato ad avere un prestigio indiscusso e ad essere considerato uno degli uomini più importanti di Cosa Nostra palermitana. Così lo descrive Paolo Bono, uno dei cinquanta arrestati “27 anni fa già sentivo il suo nome. La storia è quella, non la puoi cambiare…gira sempre il suo nome..il suo timbro”.[2]
IL PIZZO E LE SUE EVOLUZIONI
L’attività storica di Cosa Nostra per controllare il territorio è la riscossione del pizzo. Ma dalle discussioni che i mafiosi fanno fra loro apprendiamo che ormai anche in questo settore è cambiato qualcosa. Dicono, infatti, che se l’imprenditore, il commerciante si è già mostrato disponibile a versare la tassa ai boss, allora a Natale e a Pasqua gli si può andare a richiedere ancora una volta le quote dovute. Ma se è uno nuovo, uno che non è mai stato contattato e che non si conosce, allora è meglio evitare la richiesta, perché non si può rischiare la denuncia. Cosimo Semprecondio, uno dei fermati, è chiaro in proposito “Se uno io lo conosco, allora… Da quelli che non conosciamo è inutile che ci andiamo. Se non lo conosci è inutile…se non lo conosci non vai da nessuna parte”. Un atteggiamento prudenziale segno dell’evoluzione dei tempi.
Sei sono state le richieste documentate dall’inchiesta, ma non c’è stata nessuna denuncia da parte degli estorti. E se le imprese edili sono quelle maggiormente prese di mira, non tutti alla fine hanno pagato. Infatti c’è chi prende tempo, chi chiede protezione ad altri, chi rimanda gli appuntamenti. E qualche volta c’è pure il conflitto territoriale: “Lui è della Noce, ma qui siamo a Malaspina” si risponde a chi si appella alla tutela del boss di un’altra zona. Oppure “Loro non c’entrano niente qua. Quella è un’altra cosa”. Ognuno, insomma, deve agire solo nel suo quartiere.
Anche le cliniche private non sfuggono al controllo territoriale. Un altro degli arrestati, Girolamo Quartararo, voleva fare ottenere alla ditta che già faceva le pulizie alla clinica Torina l’incarico pure per la clinica Macchiarella. Ma l’appalto era stato assegnato ad altri, che non erano della Noce e non avevano chiesto l’autorizzazione. Carlo Castagna, anche lui inquisito, arrabbiato per quanto è successo, è perentorio nei confronti del titolare della ditta assegnataria “Cede l’appalto e se ne deve andare. Non è in regola perché non hanno fatto sapere niente a nessuno. Lui è stato vastaso”.
Sempre in quest’ambito della sanità privata è emerso un episodio che si può definire di ordinario comportamento mafioso. Francolino Spadaro, boss di Porta Nuova, non sopporta che la compagna, dipendente della clinica Torina, sia stata trattata male da un medico. Va su tutte le furie, e si sfoga “Vastaso, non si deve permettere. Perché io le corna gliele rompo”. Interviene quindi il referente mafioso della zona, che parlando con il dottore, prima gli si rivolge educatamente e poi lo minaccia pesantemente “Questi discorsi si chiariscono, e lavorate tranquillamente. Perché se si ripetono gli episodi, poi si presentano i masculiddi “.
Nell’indagine si è registrata anche una nuova forma di pizzo: l’imposizione dei pos ai commercianti. Alcuni uomini dei clan avrebbero voluto gestire e controllare nelle loro zone di competenza questa modalità di pagamento elettronico sempre più diffusa.
IL FIORENTE TRAFFICO DI DROGA
In quest’inchiesta una parte notevole dei traffici illeciti scoperti riguarda l’approvvigionamento e lo spaccio di droga. Un continuo andare e venire dalla Campania e dalla Calabria per poi distribuire a Palermo e dintorni la preziosissima merce ritirata. Ed erano diversi i gruppi che si occupavano di questo affare.
Un gruppo avrebbe fatto capo ai fratelli Antonino e Pietro Marino della famiglia di Roccella: una struttura rigida, efficiente, moderna. Avrebbero utilizzato anche il canale telegram per la vendita on line. Un altro gruppo si sarebbe occupato dei contatti con la Campania, dove il riferimento era Ivan Bonaccorso. In questa parte dell’indagine è venuto fuori un nuovo metodo di spaccio: il consumatore viene prelevato a casa da un autista, viene poi accompagnato a ritirare la sostanza, infine riportato indietro. Un vero e proprio servizio taxi della droga.
L’altra struttura smantellata era più organizzata e ripartita nei vari ruoli. All’apice ci sarebbero stati i fratelli Nunzio e Domenico Serio di San Lorenzo. Erano loro che compravano direttamente alla fonte le varie sostanze. Più sotto c’erano Antonio e Girolamo De Luca(padre e figlio) di Brancaccio, che ricevevano le sostanze comprate dai Serio e poi le distribuivano ai pusher nelle varie piazze di spaccio. In una di queste, Mazara del Vallo, Santa Ninfa e nel trapanese, la droga veniva gestita da Giuseppe Focarino. Questi diversi gradini dell’organizzazione e la rigida scala gerarchica di comando venivano riconosciuti e rispettati da tutti gli aderenti al traffico, che infatti con osservanza e deferenza definivano i vertici in questo modo “Quelli di sopra”, “Quelli importanti”, “Quelli che non vogliono problemi”. E nei loro confronti provavano timore e paura “Non fare brutte figure con loro”, “Non possiamo sbagliare nulla”.
In realtà qualche problema si presentava sempre. Come quando il Focarino, che trattava al supermercato Famila di via Castelforte le varie partite di droga, chiedeva in continuazione altra cocaina perché i consumatori ne avevano apprezzato la qualità. Ma siccome ritardava sistematicamente nei pagamenti, i De Luca, suoi fornitori, proprio per far rispettare la gerarchia, le regole e gli ordini ricevuti, gli facevano capire che prima di avere altra merce doveva pagare i debiti.
C’era poi un altro gruppo ai cui vertici ci sarebbero stati quattro personaggi di Brancaccio. È questa l’organizzazione che gestiva i viaggi a Napoli e in Calabria per ritirare la droga. Un via vai di corrieri e macchine strutturato in maniera rigorosa così da eludere i controlli: vetture modificate con doppi fondi e ampi depositi creati ad hoc, veicoli di supporto, staffette di copertura, percorsi puliti e pianificati, telefonini usa e getta. Sotto questa struttura di approvvigionamento, ce n’era un’altra più in basso, la vera e propria logistica dello spaccio: magazzini dove veniva depositata la droga, persone che la custodivano, altri che la distribuivano. E c’era chi la tagliava e chi si occupava d’incassare il denaro. Un sistema quasi industriale che gestiva la continua ed enorme richiesta di hashish e cocaina.
Esempio quotidiano dello svolgersi di questi traffici è stato la consegna di “fumo” in una scuola durante la ricreazione ad una minorenne. Per due giorni di seguito la ragazza ha chiamato al telefonino del pusher ordinando “la stessa cosa di ieri, per quindici (euro)”. Quando gli inquirenti le hanno chiesto da chi avesse avuto questo recapito, lei ha risposto che “non ricordava”.
Giovanni Burgio
22.12.25


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