venerdì, luglio 04, 2025

Tradimenti e boss mafiosi. Lo sbarco degli alleati al di là delle fake news


Lo storico Rosario Mangiameli confuta le dicerie sul 1943 siciliano in un libro edito da Viella. Come il mito del “grande complotto”

di FABRIZIO LENTINI
L’estate del 1943 è una di quelle pagine di storia che ognuno sfoglia a modo suo, sulla scorta di memorie, emozioni, cliché. Lo sbarco degli Alleati, le battaglie e le rese, gli eroismi e le viltà, i massacri e i sospetti: c’è così tanto, in due mesi di vita siciliana, che la storia si è fatta mito. E si sa che dei miti esistono mille varianti e interpretazioni. Poi c’è chi prova a dimostrare che i fatti sono argomenti testardi, che raschiando la crosta della mitologia si può intravedere la verità: è il mestiere degli storici, come Rosario Mangiameli che ha setacciato libri e archivi, ha dato voce a protagonisti e testimoni, ha ricostruito episodi ambigui e racconti frammentari, per dare un’immagine compiuta e intellegibile di una delle fasi più complesse e confuse del “ secolo breve”.


Mangiameli, che è stato a lungo professore di Storia contemporanea all’Università di Catania, ha messo insieme una summa fondamentale per chi ha voglia di tirare certi fili che arrivano fino a oggi. Così è nato “Guerra e desiderio di pace. La Sicilia nella crisi del 1943” ( 280 pagine, 26 euro), edito da Viella in una collana che si propone di « ricostruire vicende al centro di controversie interpretative, fornendo un antidoto a invenzioni, approssimazioni, mitografie che spesso, più del falso conclamato, diffondono forme di autentica fake history».
La prima, la più diffusa e resistente, di queste fake, riguarda un accordo tra Stati Uniti e Cosa nostra che avrebbe preceduto l’approdo nell’Isola della VII Armata americana del generale Patton e della VIII Armata britannica del generale Montgomery. Come è ormai acquisito, quell’accordo non ci fu. Il “ mito del grande complotto mafioso”, come lo ha definito lo storico Salvatore Lupo, prende forma molto tempo dopo lo sbarco, all’inizio degli anni Sessanta, quando la mafia assurge a questione nazionale e si cominciaa indagare sulle origini del fenomeno.
L’episodio, citato da Michele Pantaleone, della scarcerazione ed espulsione dagli Usa del superboss Lucky Luciano, in cambio della mobilitazione dei sindacati dei portuali controllati da Cosa nostra contro atti di sabotaggio tedeschi nel porto di New York, non è indizio di patti segreti propedeutici all’Operazione Husky. “Era difficile — scrive Mangiameli — ristabilire i rapporti con le cosche siciliane in tempo di guerra; solo unamitizzazione della mafia può far pensare a una forma di ubiquità e onnipotenza, al di sopra degli apparati di sicurezza che vigilavano sui confini”.
I boss, certo, entrano in scena. Ma non come alleati militari delle imponenti forze anglo-americane che non ne avevano bisogno, bensì come candidati al governo delle città liberate. E questo spesso grazie a intese locali con i Cao (Civil affairs officers) che godevano di grande autonomia nella selezione dei primi amministratori. Del resto, la repressione del prefetto Mori non era bastata a debellare i clan, che avevano adottato l’eterna strategia difensiva del giunco calato in attesa che passi la piena, così da riemergere alla caduta del regime con un pedigree antifascista.
Il libro di Mangiameli confuta altre dicerie sul 1943 siciliano. Ad esempio, il tradimento dei generali italiani che avrebbero combattuto con scarsa energia. Argomento sollevato dalla destra post- fascista ma infondato se si guarda ai tempi lunghi e agli ostacoli incontrati dalla campagna militare alleata. A cominciare dalla aspra battaglia di Gela, ricostruita in un capitolo ampiamente arricchito da preziose fonti orali. Questione diversa è il rapido assottigliarsi della VI Armata italiana, formata per il 70 per cento da truppe siciliane. Una scelta strategica dei comandi, quella dell’esercito “ territoriale”, legata a esigenze di welfare in una terra stremata da bombardamenti e fame (i rifornimenti di derrate alle forze armate finivano per sostenere anche la popolazione civile). Ma che fatalmente determinò la sparizione dal campo dei militari siciliani, i quali non dovevano neanche fuggire ma semplicemente rientrare a casa. « Su 315mila soldati — scrive Mangiameli — solo circa 60-75mila si ritirarono oltre lo Stretto».
Ecco una faccia del “ desiderio di pace”. Ecco il contesto, cioè la Sicilia reale che è la protagonista del libro. Ecco la miseria («Mai ho visto tanta sofferenza e dolore » , scrive il 14 maggio da Palermo Edda Mussolini al padre, invocando “ pane e pasta, medicinali e indumenti”). Ecco la paura, l’estraneità — che non fu resistenza — al fascismo. Ed ecco, appena più tardi, la rivalsa della mafia, l’avventura separatista, il trasformismo delle classi dirigenti, i compromessi dei nuovi governanti. Pagine di storia, anzi di cronaca.

la Repubblica Palermo, 1 luglio 2925

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