Le vecchie lotte comuni e la lezione per i giovani di oggi nel testo inedito del critico e saggista appena scomparso
di GOFFREDO FOFI
Trent’anni fa moriva Alex Langer (3 luglio 1995, ndr). Ecco cosa mi sento di dire su Alex e su cosa ha fatto per me e per tanti, dandoci un modello di azione chiaro e saldo, basato su una morale a tutta prova e su una conoscenza diretta delle situazioni, e della immane difficoltà, mai dimenticata, di «cambiare il mondo e cambiare la vita». Cambiare il mondo e cambiare la vita, come diceva Alex, ci era sembrata una possibilità reale, negli anni Sessanta e nel mondo, e la nostra sconfitta, la sconfitta di Alex, è simile, in modi diversi, a quelle di Che Guevara e di Patrice Lumumba, della Lunga marcia e della salita in montagna, del violento Malcolm X e del non violento Martin Luther King.
Il Capitale era più forte di noi e aveva servi a volontà, mentre le nostre mani erano fragili e le nostre convinzioni spesso incerte, pronte ad accogliere le suggestioni del mercato e le consolazioni di una cultura, pacata e guidata dal potere ieri come oggi, e che mirava a
Alex era nato dieci anni dopo di me, quando finiva la Seconda guerra mondiale, e io la guerra credo d’averla sofferta, vedendo tra l’altro i corpi di quaranta persone uccise dai tedeschi durante la loro ritirata. Ma mi univa e ci univa ad Alex una determinazione profonda, un “mai più” per il quale lottare. Alex fu a suo modo - ché aveva già le sue idee - un allievo di Don Lorenzo Milani come io lo fui di Aldo Capitini – e credevamo in una non violenza bensì attiva, anche disposti a concedere qualcosa alla violenza in senso guevariano (un’attiva tenerezza tra i viventi, da non perdere mai!).
Furono anni, i nostri, di grandi cambiamenti, e di uno scontro non più tra popoli guidati da malfattori ma tra poliziotti «al servizio dei padroni» come si diceva, visibili e nascosti, e minoranze di giovani e meno giovani pronte a salire sulle barricate ma anche, come avvenne, troppo pronte a scenderne. Per le azioni del Capitale nei nostri confronti il regista francese Chris Marker, nel suo documentario del 1977 Le fond de l’air est rouge, Il fondo dell’aria è rosso,
parlava di «mani tagliate».
Mi univa ad Alex Langer, credo, la determinazione ad andare tuttavia avanti, a mai desistere, e però con la coscienza di essere dei minimi David di fronte a un Golia dai mille volti, alcuni dei quali seduttivi e compiacenti. Non si può non provare nostalgia per quelle lotte, anche se a volte furono così radicali da sembrare suicide, perché nel mondo qualcosa cambiava veramente, anche grazie alle lotte di tanti giovani come noi, di cui ci sentivamo fratelli. Ma il particulare prese ben presto il sopravvento sull’ideale, e di fronte alle difficoltà tanti scelsero l’accettazione (ed erano stati Milani e Capitini a insegnarci la radicale distanza tra chi accettava e chi non accettava il mondo com’è). Le minoranze inaccettanti furono per tanto tempo e lo sono ancora costrette al silenzio di fronte alla enormità del nemico e alla pochezza delle nostre forze.
Alex ci invitò, nei suoi ultimi messaggi, a non desistere, a continuare. E sarebbe bello che il suo messaggio fosse raccolto da tanti delle ultime generazioni. Pur essendo coscienti tutti delle difficoltà immani che ci stanno di fronte, della agghiacciante forza di un nemico che conosce alla perfezione l’arte della corruzione.
Così evidente e forte, oggi più che mai. Quanti sono gli addetti, per di più volontari, all’arte della castrazione della gioventù, spingendola a soddisfarsi di una piccola possibilità di godimento e rimanendo sorda al grido degli oppressi e dei più sensibili tra i nostri pari e vicini.
Anche se ben pochi tra i giovani sembrano crederci, sempre «ribellarsi è giusto», e lo è più che mai di fronte alle concrete ipotesi di guerre e di disastri ecologici. Per questo di Alex apprezziamo a distanza sia la disposizione al dialogo e la chiarezza degli ideali, che l’ostinazione della ricerca: non l’uomo lupo all’uomo, ma l’uomo fraterno all’umanità che più soffre e amorosamente attento a lenire il dolore della natura.
la Repubblica, 20 luglio 2025
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