COLONIA DI METZAD (CISGIORDANIA) - Il sogno principale? «Distruggere le moschee della Roccia e Al Aqsa a Gerusalemme e costruire il Terzo Tempio ebraico, dove duemila anni fa stava quello abbattuto dalle legioni romane di Tito. Così garantiremo l’avvento del Messia».
E che fare nell’immediato con la popolazione palestinese di Cisgiordania e Gaza? «L’eccidio di ebrei commesso da Hamas il 7 ottobre 2023 dimostra che non c’è spazio per alcun compromesso politico. O noi, o loro. I milioni di palestinesi che stanno nella nostra patria storica vanno espulsi, devono andarsene. I fatti dimostrano che non possiamo vivere assieme nella stessa terra. Se non se ne vanno con le buone, noi abbiamo il diritto di usare la forza, anche di ucciderli tutti».
Parlano proprio così i ragazzi e giovani uomini che abbiamo incontrato di fronte alla yeshivah, la scuola religiosa, e la sinagoga dell’insediamento di Metzad, sulle colline della Cisgiordania meridionale che separano la periferia della grande città araba di Hebron dalla depressione del Mar Morto. Arrivare è stato abbastanza semplice: negli ultimi 10-15 anni i governi israeliani dominati dalla destra nazionalista del Likud di Benjamin Netanyahu affiancato dal peso crescente dei partiti religiosi, hanno centuplicato lo sviluppo delle colonie ebraiche nei territori della Cisgiordania occupati sin dalla vittoria nella guerra del giugno 1967. Le colline coltivate dei palestinesi sono state parcellizzate in dedali di strade e di insediamenti ebraici difesi dalle postazioni militari.
La provinciale tra Gerusalemme e Hebron è irriconoscibile rispetto ai tempi dei negoziati di Oslo nel 1993: i nuclei urbani palestinesi sono come accerchiati, isolati, tagliati fuori. E gli stessi coloni ammettono che dal 7 ottobre 2023 gli attacchi della guerriglia palestinese, o semplicemente di giovani arabi esasperati che tirano le pietre contro le auto con la targa gialla di Israele, sono quasi spariti. Oltre mille palestinesi della Cisgiordania sono stati uccisi da soldati e coloni nell’ultima ventina di mesi. «Con loro vale la legge della forza. Se spari scappano e noi dobbiamo difenderci», dice Avraham, un diciassettenne originario di Gerusalemme che vive a Metzad da tre anni e mostra le zone brulle appena devastate da un incendio causato dalle bottiglie molotov, a suo dire tirate da alcuni giovani palestinesi due giorni fa, dopo che l’esercito li aveva fatti evacuare.
Si nota subito l’ambiguità della convivenza tra esercito regolare e coloni estremisti. Formalmente i militari sarebbero qui per garantire la sicurezza degli ebrei, ma anche per difendere gli arabi da eventuali soprusi. All’ordine del giorno ci sono le cronache di alcune tensioni scoppiate venerdì a nord di Ramallah, presso il villaggio arabo di Kfar Malik, tra i soldati e i «giovani delle colline» (No’ar HaGvaot in ebraico), che sono i più estremisti tra gli ortodossi determinati a scacciare tutti i palestinesi e prendere ogni lembo di terra. «Ad ora almeno 8 ragazzi ebrei sono in carcere, uno di loro è probabilmente ferito da uno sparo di un soldato mentre cercava di farlo sloggiare dalla cima della collina dove si erano arroccati», ci spiegano i portavoce dallo stato maggiore a Tel Aviv. Però vista qui direttamente sul campo la cosa appare molto più complicata. Il 22enne Ytzhak ci mostra le abitazioni abbandonate a poche centinaia di metri dai fili spinati esterni di Metzad del villaggio arabo di Jorat al Khill, che i coloni hanno già ribattezzato Kol Yakov. «Vedi? Un anno fa siamo riusciti a scacciare gli arabi che ci minacciavano. Loro vedevano cosa stava capitando a Gaza e sono andati via verso Hebron, adesso piano piano stiamo prendendo le loro case, che in realtà sono nostre da sempre per volere divino. Sta scritto sulla legge ebraica. E i soldati lasciano fare. Ovvio che chiudono un occhio e intanto con la nostra presenza noi facciamo comodo», spiega.
Ytzhak viene da una famiglia religiosa di Gerusalemme, lui e il padre si sono formati agli insegnamenti di Abraham Isaac Kook, un celebre rabbino vegetariano ortodosso, che già negli anni Trenta decise di fornire un’impalcatura teologica al sionismo per lo più laico e socialista che imperava tra i padri fondatori dello Stato ebraico. Mostra le catapecchie agricole dei palestinesi distrutte, i loro campi ormai incolti, indica con allegrie le tende dei «giovani delle colline», che con mogli e figli si sono trasferiti tra vecchi ulivi e terrazzamenti centenari per fare la guardie delle terre appena «ebraizzate». E commenta: «Qui pochi di noi pensano che lo Stato di Israele sia soltanto la difesa degli ebrei contro l’antisemitismo e la risposta a Hitler. No, in verità noi siamo qui perché Dio lo vuole, questa è la terra degli ebrei, che deve comprendere anche il Libano meridionale sino a Sidone, la Siria e buona parte della Giordania». Inutile controbattere, gli studenti della scuola religiosa escono dall’aula per dargli manforte. «I palestinesi potrebbero stare benissimo in Sudan, o magari venire da voi in Italia. L’ex premier laburista Ytzhak Rabin fu un pazzo o un illuso a credere nel compromesso territoriale. Per fortuna adesso c’è ancora Netanyahu, che dopo l’attacco all’Iran è tornato più popolare che mai», dicono quasi in coro. Ma anche Netanyahu avrà pur commesso qualche errore, no? La risposta raggela: «Sì. Dopo il 7 ottobre avrebbe dovuto dire alla gente di Gaza: avete una settimana di tempo per andarvene. Dopo bombarderemo ovunque senza sosta, non resterà nessuno in vita».
3 lug 2025
https://www.corriere.it/esteri/25_luglio_03/tra-i-giovani-delle-colline-gli-ortodossi-piu-estremisti-che-vogliono-cacciare-tutti-i-palestinesi-abbiamo-il-diritto-di-ucciderli-be9110d5-f814-4883-87e8-98f0fbf0cxlk.shtml
Nessun commento:
Posta un commento