lunedì, luglio 28, 2025

L’Asp Palermo offre il parto anonimo. Un gesto d’amore silenzioso


Carla Fernandez

Ci sono maternità che non esplodono in urla di gioia, né si annunciano con fiocchi colorati. Nascono in silenzio, nell’ombra. A volte, persino nella paura. Non nelle sale parto illuminate dalla felicità, ma nei margini più bui dell’esistenza. È lì che prende forma il parto in anonimato: un diritto sancito dalla legge, ma soprattutto un gesto di amore estremo. Un atto che protegge la vita anche quando la vita ha fatto male.

«Un giorno una ragazza ci ha detto: “Voglio vederlo, solo una volta”. Lo ha stretto, lo ha salutato. Poi ha deciso di lasciarlo andare. Quel giorno abbiamo pianto tutti», racconta Giuseppe Canzone, direttore del dipartimento Salute della famiglia dell’Asp e responsabile di Ginecologia all’ospedale Cimino di Termini Imerese. Storie che si consumano in pochi giorni ma restano scolpite nel cuore di chi le accompagna.

Donne ferite, sole, che non si sentono madri, ma decidono comunque di mettere al mondo un figlio per poi lasciarlo andare, protetto.

Negli ospedali dell’Asp, tutto questo è possibile. Nessun nome da dichiarare, nessuna spiegazione da fornire. Solo il diritto di partorire in anonimato, nel rispetto della dignità e della legge. «È un segreto che salva due vite», dice Canzone. Perché dietro ogni scelta c’è sempre una storia troppo complessa per essere giudicata: una giovane vittima di violenza, una relazione pericolosa, una famiglia che non c’è.

«Ci è capitato di dover fronteggiare situazioni molto rischiose, ma abbiamo sempre cercato di garantire protezione e rispetto», prosegue Canzone. Nei punti nascita dell’Asp è attiva una rete organizzata con équipe multidisciplinari: ginecologi, psicologi, assistenti sociali. «Abbiamo 41 consultori in città e provincia, pronti ad accogliere e seguire le donne più fragili». Chi entra nei reparti maternità dell’Asp trova un messaggio appeso in bacheca: «Il segreto che salva una vita». È il filo rosso che lega chi sceglie di non essere madre, ma di esserlo solo per proteggere. Una scelta dolorosa ma consapevole, spesso l’unica via per salvare due destini.

Il procedimento è semplice ma rigoroso. Dopo il parto, se la donna conferma la volontà di restare anonima, l’ostetrica e il primario si recano all’anagrafe per registrare il neonato. Scelgono un nome - spesso ispirato al santo del giorno - e il Comune assegna un cognome preso da un apposito registro. Tutti i dati sanitari della partoriente vengono sigillati in una busta, custodita in direzione sanitaria. Solo l’autorità giudiziaria potrà aprirla, nel caso il bambino - da adulto - voglia risalire alle sue origini, come previsto dalla legge 183 del 1983.

Il parto in anonimato è regolato dal Dpr (decreto del presidente della Repubblica) numero 396 del 2000. Possono accedervi tutte le donne, anche minorenni o straniere. Hanno 10 giorni per ripensarci. Trascorsi 90 giorni, interviene il tribunale dei minori, che avvia le procedure per l’adozione. È una legge che non cancella, ma custodisce. Che non giudica, ma accoglie. E che, soprattutto, offre una possibilità quando tutto il resto sembra crollare. Perché a volte l’amore si manifesta anche così: nel coraggio di dire addio. (*CAF*)

GdS, 27 luglio 2025

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