giovedì, maggio 08, 2025

Peppino Impastato. Le sue idee sono ancora avanguardia


Nello Trocchia

«Oggi niente vale, manco la vita. La paura più grande è che una società disgregata faccia più male della mafia». Sulla spiaggia di Magaggiari, Marcella Stagno, compagna di lotta di Peppino Impastato, ragiona sullo stato di salute dell'antimafia, sul femminismo, sul sangue dei giovani. Vive a Terrasini, comune a pochi chilometri da Palermo, dove è tornata la mafia di un tempo, quella vera, silenziosa, affaristica e che non fa rumore. 

Qui tra Terrasini e Cinisi, ogni anno, arrivano da tutta Italia giovanissimi per le giornate del ricordo e il festival antimafia. La notte tra l'8 e il 9 maggio, poco distante da questa spiaggia il militante di Democrazia Proletaria, Peppino Impastato, venne ucciso da cosa nostra con seguito di depistaggio a marchio di stato. Marcella c'era. Dentro questo presente denuncia il rischio di chiudere ogni sbocco ai giovani. «Pensa ai ragazzi trucidati a Monreale, una strage di ventenni. Gli abbiamo oscurato il cielo, noi ci abbiamo sbattuto la testa, gli errori, gli inciampi certo, ma volevamo prenderci il mondo. Bisogna introdurre l'educazione affettiva a scuola, aprire spazi e luoghi di incontro, rilanciare pesantemente la

questione salariale, alle generazioni stiamo dando solo repressione e manganello. La mafia forte regola i fili della società, oggi la disgregazione anche criminale mostra il volto peggiore della comunità fino alle stragi dei ragazzini».

La lotta delle donne

Marcella ricorda quegli anni. «Quel movimento aveva dentro la questione femminile, ci trovavamo a discutere delle condizioni di vita nella famiglia, si poteva uscire solo se accompagnati da un fratello, iniziammo a rendere collettiva la condizione vissuta nelle mura domestiche e nella società», dice. Ricorda i volantini che consegnavano contro la violenza sulle donne. Era il 1977. «In questa realtà di Cinisi si è portati a giustificare la violenza degli stupratori e a condannare Maria (una ragazza che rimase vittima di stupro, ndr) perché è sempre la donna che provoca», si legge in quel volantino. Quella battaglia di emancipazione e civiltà divenne uno dei temi di Radio Aut, l'emittente libera che si scagliava contro mafia e società patriarcale. «Fu difficile, ci trovammo in tre sul palco per un comizio. Eravamo le puttane», dice. Tra il pubblico c'erano gli uomini della mafia e del boss che tutto comandava, Tano Badalamenti. «Non staccai gli occhi dal foglio», ricorda Marcella. «Oggi dobbiamo cercare di usare le parole giuste per non ritagliarci da sole un ruolo di subalternità che già ci assegna la società, bisogna rivendicare autonomia e indipendenza».

Casa all'asta

Le compagne e i compagni di Peppino, nei giorni scorsi, hanno partecipato alla consegna delle chiavi del casolare. Ricordano il ritrovamento delle pietre insanguinate, dopo l'uccisione di Impastato, il cui corpo fu fatto saltare in aria lungo i binari poco distanti. Ora nel casolare ci sono le foto, il racconto di quei giorni, gli estratti della relazione della commissione antimafia che ha ricostruito la vicenda. Ci sono voluti anni prima di ristabilire la verità, il mandante dell'omicidio era Badalamenti, il boss, Tano seduto. «La mafia è tornata quella di un tempo, cambia continuamente pelle. La lotta alle organizzazioni criminali passa ancor di più oggi dalla rivendicazione di diritti e dall'allargamento delle possibilità per tutte e tutti», dice Luisa Impastato, nipote di Peppino, e figlia di Giovanni, da sempre impegnato nel contrasto al crimine e nel ricordo del fratello.

Se il casolare è stato restituito alla collettività, la casa dove Peppino e la madre, Felicia Bartolotta Impastato, hanno abitato è all'asta (per un debito di Giovanni Impastato con un privato al quale si è aggiunto quello con l'agenzia dell'entrate), che si celebrerà il prossimo 5 giugno. Casa Memoria è pronta ad acquisire l'immobile, la regione ha garantito ovviamente che eserciterà se necessario il diritto di prelazione, perché quello resti luogo di memoria e di impegno. Prima di andare via, Marcella si attacca alla rete e guarda la ferrovia. Prende fiato e dice: «Andavamo in giro tra i binari, c'erano i brandelli del corpo di Peppino ovunque. Hai capito?». 

Passano gli anni, ma la rabbia è la stessa di sempre.

Nello Trocchia

Domani.it, 9 maggio 2025

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