Ketty Giannilivigni
Nel giugno del 1902 Milano è teatro di una protesta singolare perché fanciulle impiegate nei laboratori del settore della moda entrano in sciopero e reclamano condizioni di lavoro più umane.
Si tratta di bambine e adolescenti, giovanissime lavoratrici presso sarte e modiste che le hanno assunte come apprendiste ma che non insegnano loro nemmeno a tenere l’ago mentre le impegnano in tutt’altre occupazioni: nelle attività domestiche e, soprattutto, nelle consegne a domicilio di abiti e accessori presso le case signorili della città.
Centinaia di piscinine, come vengono indicate in meneghino dalla cronaca locale, le più piccole hanno sei anni, si sono riunite in un unico corpo, hanno proclamato lo sciopero e si dirigono alla sede della Camera del Lavoro con richieste precise da mettere sul tavolo della contrattazione: «minimo di paga giornaliera centesimi 50; dieci ore di lavoro al giorno e un’ora di intervallo; pagamento delle ore fatte in più dell’orario; abolizione dei servizi domestici;
paga settimanale; lavoro domenicale retribuito con il 100% di aumento; riduzione dello scatolone in modo che le bambine fino a nove anni non portino un peso superiore a 4 Kg e fino a 12 non superiore a 10 Kg».Questa storia, documentata nelle pagine dei giornali dell’epoca, ha trovato la dimensione del romanzo ne La piccinina di Silvia Montemurro, scrittrice prolifica e versatile che passa con disinvoltura dal romanzo rosa a quello storico e, in ultimo, alla letteratura per bambini e ragazzi.
La piccinina protagonista del racconto si chiama Nora e ha le sembianze della bambina rappresentata in un quadro dal pittore Emilio Longoni alla fine dell’Ottocento. Il ritratto, come riferisce Montemurro, era stato acquistato dal padre quando lei era piccola e sarebbe finito in soffitta assieme ad «altre cianfrusaglia» se non fosse stato così bello e soprattutto somigliante alla madre.
Il dipinto mostra una bambina dal volto stanco, incorniciato da una corta frangetta e dai capelli trattenuti da un cerchietto con fiocco rosa, lo stesso colore dell’elegante abito a balze che nel romanzo è stato confezionato dalla madre di Nora con i ritagli di un vestito realizzato per una contessina mentre la collana di perle blu è un regalo del padre. Ma l’elemento che caratterizza La piscinina è l’immancabile pacco di cartone, talmente pesante da determinare la posa sbilenca della fanciulla ritratta.
«Piccola, dunque serva. – riflette Nora – Ho sempre fatto consegne con il telegramma, la scatola di cartone che è cresciuta come un guscio sulle mie spalle. Più diventavo grande e più quell’odioso contenitore di cartone era ingombrante ed enorme, sembrava quasi di sentire il peso di un cadavere sopra la schiena».
Nel romanzo Nora, la voce narrante, ci guida dentro le giornate di lotta delle piccinine nei primi giorni dell’estate del 1902 mentre a tratti affiorano alcuni episodi della vita che l’hanno segnata, come l’incontro con Emilio Longoni o la frustrazione che la accompagnerà per sempre di non essere riuscita a recitare La piscinina dinanzi al padre a causa della balbuzie: «Avevo imparato la poesia a memoria, l’avevo ripetuta cento volte davanti allo specchio […] Ma quando la mamma mi ha fatto alzare da tavola e salire sulla sedia, per recitarla a tutti […], le parole non sono volute uscire. Io e le parole non saremo mai amiche».
Nonostante le difficoltà ad esprimersi, Nora all’età di sedici anni sarà la firmataria del documento con le rivendicazioni delle piscinine presso la Camera del Lavoro dove verrà fotografata dalla stampa assieme all’amica Gianna di qualche anno più piccola e anima della rivolta delle bambine, piccinina realmente esistita con il nome di Giovanna Lombardi.
Il pregio di Montemurro, quindi, è quello di aver saputo rendere accessibile al grande pubblico la storia delle bambinette schiave nel sistema di produzione artigianale del settore della moda agli inizi del Novecento a Milano. «Non è stata cattiva, la maestra Ester. Si è solo comportata come tutte le altre» è quanto pensa Nora della sua “padrona”, collega della madre sarta la quale, invece, tiene come apprendista Lisa che è l’amica del cuore di Nora fino all’arrivo di una terza piccinina Angelica e soprattutto quando, a scompaginare ulteriormente il rapporto fra le tre, giunge “l’Achille”, il conteso garzone della pizzicheria del quartiere.
Sull’ordito robusto della storia l’autrice tesse il suo racconto e così nella repressione attuata dal generale Bava Beccaris a colpi di cannone sulla folla per la rivolta del pane del 1898 perderà la vita il padre di Nora, un fabbro che aveva partecipato alle lotte per l’indipendenza dagli austriaci, mentre altri fili di trama narrano dell’amicizia, dell’amore e della competizione tra le adolescenti che rendono incalzante il romanzo e mostrano come alla povertà e alla miseria materiale non di rado si accompagni la crudeltà.
Ma i fili sottesi all’iniziativa delle giovani ribelli sono da rintracciare nel movimento delle donne che tra Otto e Novecento a Milano porta ossigeno alla lotta per il riconoscimento dei diritti di lavoratrici e lavoratori. Nel settore della moda non possiamo non ricordare Rosa Genoni che dalla provincia lombarda era giunta nel capoluogo all’età di 10 anni come piscinina della zia sarta, unica italiana al congresso mondiale per la pace tenuto all’Aja nel 1915, amica di Anna Kuliscioff, la dottora che curava gratuitamente la popolazione indigente della città, impegnata nel disegno di legge per la tutela sul lavoro di donne e bambini.
Nel romanzo, invece, viene menzionata Carolina Annoni, leader delle lavoratrici dell’industria tessile, che affianca e sostiene le giovanissime scioperanti durante le sedute alla Camera del Lavoro: «Sono Carolina Annoni, dell’Unione Femminile. Vi aiuterò con i passaggi e le procedure» per aprire il tavolo delle trattative che, in ultimo, verranno formalizzate nel documento con le richieste avanzate dalle piscinine, sottoscritto dalle maestre e, per le bambine, da Nora, l’unica che sa firmare: «Ho scritto qualche volta il mio nome col gessetto. Per terra, quando disegnavo le linee per giocare a campana. […] Scrivere con una vera penna (d’oca) mi dà una sensazione fisica di piacere, guardo l’inchiostro impregnare come per magia il foglio bianco».
Non era stato un gioco per le piccole lavoratrici tenere per oltre una settimana, dal 23 giugno, lo stato di agitazione: vi erano stati anche momenti di tensione come quando le scioperanti si erano accorte che «due loro compagne con l’enorme scatolone sulla piattaforma di un tram […] e in un batter d’occhio» si erano riversate sui binari gridando «giù! giù! abbasso le crumire! sciopero! sciopero!»
Non era stato facile affrontare le famiglie per la scelta inusuale di ricorrere allo sciopero da parte di bambine. Padri e fratelli che lottavano per i loro diritti nelle moderne fabbriche si erano scagliati contro le piccole insorte. Rientrando a casa Nora, pertanto, si era imbattuta nel fratello maggiore che addirittura si era sfilato la cintura – come a suo tempo faceva il padre con i due figli maschi quando si ribellavano ai suoi ordini – e minaccioso aveva intimato alla sorella di smetterla con lo sciopero: «Non potevo avere una brava sorella come la Lisetta o l’Angelica che hanno messo la testa al posto e sono diventate signorine? – aveva esclamato – Ci fai vergognare, tutti quanti, con questa cavolata dello sciopero. La mamma ha dovuto parlare con la maestra, che non ti voleva più» ma ora è «disposta a farti tornare».
Con questi presupposti, la mobilitazione delle bambine, grazie ai risultati conseguiti, suscita meraviglia e incredulità nell’opinione pubblica ma anche emulazione da parte di altre categorie di lavoratori, come riportano i giornali. Infatti, terminato lo sciopero delle bambine «ne viene dichiarato un altro … di piscinini. / Sessanta garzoni della ditta Bertarelli, fabbricanti di arredi sacri – ragazzi dai dodici ai quindici – abbandonano il lavoro, domandando un aumento di paga, vale a dire un minimo di 50 centesimi». Piccole donne hanno «fatto scuola agli uomini» mentre in quegli stessi anni le telegrafiste di Palermo intraprendono la battaglia per il riconoscimento del servizio prestato come ausiliarie delle Poste e Telegrafi ai fini pensionistici, una vittoria di cui potranno godere in seguito anche gli uomini impiegati pubblici.
Ma la vendetta per chi si ribella al sistema patriarcale e borghese è pronta, Nora la sperimenta sul proprio corpo una volta ritornata sotto le grinfie della maestra Ester e del marito bruto di quest’ultima.
Una disfatta!?! Si tratta degli esordi delle lotte che in Italia vedranno donne e uomini impegnati per la conquista dei diritti di lavoratrici e lavoratori lungo il secolo scorso, diritti che le passate generazioni hanno ottenuto per tutte/i e che ogni giorno di più vengono intaccati dal vorace sistema capitalistico mondiale. Pensiamo, ad esempio, alle consegne a domicilio che anche nel “moderno telegramma” sulle spalle di lavoratori precari, spesso giovanissimi, ricorda le nostre piscinine o al lavoro sommerso di bambine/i che realizzano merci di ogni genere, e tra queste gli abiti e gli accessori che acquistiamo e indossiamo.
Pressenza.com, 29.05.25
Ketty Giannilivigni
Scrittrice e saggista, femminista e sociologa della moda. Ha collaborato con varie riviste ("Salvare Palermo", "Ciumelato", "Mezzocielo", "Segno") e testate online come "NoteBlock" e "Mediterraneo di Pace". Inoltre è stata fra i fondatori del Comitato sui Beni comuni "Stefano Rodotà" di Palermo.
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