di Salvo Palazzolo
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Leoluca Bagarella e la sua compagna Vincenzina Marchese, con i figli di Totò Riina, Giovanni e Maria Concetta |
La foto trovata in un covo nel 1979 svelò i legami dei boss tra Corleone e Palermo. Ma Giuliano e Basile, i due investigatori che se ne occuparono, furono uccisi poco dopo
Il killer di Corleone Leoluca Bagarella, che indossa la cravatta e un pullover bianco, accenna a un sorriso mentre tiene in braccio un bambino. Accanto c’è la sua fidanzata, Vincenzina Marchese: il capitano Emanuele Basile l’ha appena scoperto e ora si chiede chi siano i due bambini davanti alla torta. In quei mesi convulsi del gennaio 1980, il comandante della Compagnia di Monreale ha fatto un gran passo avanti nell’inchiesta che sta conducendo con il giudice istruttore Paolo Borsellino: la donna nello scatto è la conferma che stava cercando, c’è un asse fra i mafiosi di Corleone capeggiati dal cognato di Bagarella, Totò Riina, e quelli di Palermo. Vincenzina è la sorella di Antonino Marchese, il boss su cui indagava Boris Giuliano dopo aver trovato quella e altre fotografie in un appartamento di via Pecori Giraldi, nella periferia orientale della città. Ma il capo della squadra mobile di Palermo non ha avuto tempo per decifrare tutti gli scatti, è stato ucciso due settimane dopo il loro ritrovamento, il 21 luglio 1979. Proprio da Bagarella. E anche al capitano Basile resta poco: il 4 maggio 1980 verrà ucciso pure lui da tre sicari di mafia durante la processione del Santissimo Crocifisso, mentre portava in braccio la figlioletta Barbara.
Quarantacinque anni dopo l’assassinio del brillante investigatore dell’Arma, quelle fotografie sono riemerse da un vecchio archivio del tribunale. Repubblica stava cercando i rapporti firmati da Basile sui mafiosi che avevano conquistato Palermo con fiumi di droga (alcuni oggi sono tornati a fare affari): in una busta rossa sono spuntati quegli scatti, che il capitano citava nelle sue indagini, ma nessuno li aveva mai visti.
Oggi, le fotografie ritrovate da Boris Giuliano e decifrate da Emanuele Basile, sono un documento eccezionale: i due bambini accanto a Leoluca Bagarella e Vincenzina Marchese sono i figli di Totò Riina, Giovanni e Maria Concetta. E l’immagine davanti alla torta è il racconto di cos’è la mafia a Palermo: un’ostentata normalità.
Sembrano quasi una famiglia serena, zii e nipoti insieme per festeggiare un compleanno, invece quell’uomo con la cravatta marrone e il pullover bianco è già un pericoloso killer latitante: il 26 gennaio 1979, Bagarella ha ucciso il cronista del Giornale di Sicilia Mario Francese, a luglio ha sparato al capo della Mobile Giuliano. Nel covo di via Pecori Giraldi, oltre a tanta eroina che vale 4 miliardi delle vecchie lire, c’era un certificato medico firmato da un illustre professionista palermitano, per consentire il rilascio della patente al signor Antonino Nuccio: la foto parla chiaro, era Bagarella.
Un certificato medico falso usato dal boss Bagarella per il rilascio della patente
Se ne va addirittura in giro per Palermo, con la sua 127. Poi, alla fine di dicembre 1979 una pattuglia lo ferma a un posto di blocco con Vincenzina Marchese. E scatta l’arresto, mentre la donna riesce ad allontanarsi, non verrà riconosciuta.
La foto con i bambini davanti alla torta è anche il racconto di cosa sia una famiglia di mafia. Nel 1979, lo zio Leoluca Bagarella tiene in braccio il piccolo Giovanni Riina, che ha tre anni. Nel 1995, lo zio accompagna il nipote che ha ormai 19 anni a fare alcuni omicidi, a Corleone. Oggi, sono entrambi al carcere duro. Mentre Vincenzina Marchese si è impiccata, all’inizio del 1995. È l’epilogo drammatico di quella foto davanti alla torta. Vincenzina era caduta in una forte depressione dopo due aborti. Diceva: «Dio ci punisce perché avete fatto del male a quel bambino». Piangeva per il piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito da Cosa nostra. La moglie di Bagarella si impiccò e il suo corpo è scomparso. Un altro dei misteri di Palermo.
Aveva 30 anni, il capitano Basile. Aveva una grande capacità di mettere insieme piccoli tasselli: nel covo di Giraldi c’era anche un paio di scarpe con una scritta all’interno, “Sorrentino”, il capitano la collegò con la scomparsa di un tale Melchiorre Sorrentino di Altofonte. Di questo paesino alle porte di Palermo era Antonino Gioè, fermato dalla polizia insieme a Marchese prima di arrivare al covo di via Giraldi. Basile era pronto a bloccare i Corleonesi e i loro fedelissimi. Ma è andata diversamente. Gioè fu poi uno degli attentatori del giudice Falcone. Insieme a Giovanni Brusca, il giovane rampante di Cosa nostra che venne individuato dal successore di Basile, il capitano Mario D’Aleo, ucciso pure lui, con l’appuntato Giuseppe Bommarito e il carabiniere Pietro Morici, il 13 giugno 1983. Uomini soli, ma sempre fiduciosi: «Oramai abbiamo capito tutto», disse Basile sorridendo al giovane cronista de L’Ora Attilio Bolzoni, davanti alla caserma “Carini”. Quattro giorni dopo fu ucciso.
la Repubblica, 4 maggio 2025
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