IL RACCONTO
di SALVO PALAZZOLO
Le pagine del 1989 sono le più dense di appuntamenti e di cose da fare. Ogni tanto, Giovanni Falcone scriveva con la stilografica nera, altre volte con quella blu. «Ma sempre in modo ordinato», spiega il nipote del giudice, Vincenzo Di Fresco, il figlio di Maria, mentre sfoglia l’agenda con la copertina di pelle marrone e la mostra per la prima volta in una sala del bellissimo Museo del Presente intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. «Queste annotazioni — dice — sono la testimonianza più viva dell’incessante impegno che quegli uomini, dei veri eroi, misero per la ricerca della verità».
Annotazioni che raccontano di giornate frenetiche («23 aprile 1989: Scadono i termini per le traduzioni di Iron Tower». «29 aprile: Dov’è il fax da Lugano?»), ma anche giornate di interrogatori e trasferte fuori dalla Sicilia («19 aprile, Milano, viene Borsellino. Incontro con la Boccassini»), annotazioni che raccontano soprattutto di inchieste da sviluppare e domande a cui rispondere. E sono domande ancora attualissime: «Atti Palazzolo, omicidio Mattarella », annotava il giudice Falcone come promemoria per lunedì 6 marzo 1989. Sono le due grandi incompiute dell’antimafia. Vito Roberto Palazzolo, il tesoriere di Riina e Provenzano che il giudice simbolo della lotta alla mafia inseguì una vita fra la Sicilia, la Svizzera e il Sudafrica, continua ancora oggi a gestire il suo immenso patrimonio: il Sudafrica e l’Angola non hanno mai risposto alle
Una grande corsa, per cercare la verità. «E di tanto in tanto telefonava a Sergio Mattarella — racconta Vincenzo Di Fresco mostrando gli appunti di altre pagine dell’agenda dell’89 — credo che volesse tenere aggiornati i familiari di Piersanti Mattarella sullo sviluppo delle indagini. Un gesto di grande attenzione e sensibilità, che racconta il rigore del magistrato, la sensibilità dell’uomo ». Il 1989 è un anno terribile per Giovanni Falcone: prima le lettere anonime del “Corvo” che lo accusano di aver fatto ritornare in armi ilpentito Totuccio Contorno; poi il 21 giugno, la polizia trova una borsa piena di esplosivo davanti la sua villa, che si affaccia sul mare dell’Addaura. «Opera di menti raffinatissime », disse in un’intervista all’ Unità . Ricorda Vincenzo Di Fresco: «Quella sera, io e mamma andammo a trovarlo. Era sconvolto, ripeteva a Francesca che doveva andare via, le ripeteva: «Non lo capisci che sono un cadavere ambulante?» Ma nella sua agenda continuava a prendere appunti. Il 23 giugno era a Roma, segnava: «Concutelli». Probabilmente un interrogatorio dell’estremista di destra che tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta visse a Palermo. Per certo, il 9 settembre andò a interrogarlo: «Ore 10, Concutelli Rebibbia». L’11 marzo aveva scritto: «Prendere documentazione per Concutelli». L’ipotesi che seguiva era precisa: Cosa nostra avrebbe aiutato i “neri” a far evadere Concutelli dall’Ucciardone, in cambio loro avrebbero ucciso Mattarella. Un’ipotesi che però, poi, si infranse con l’assoluzione di Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini. Ma Falcone non aveva lasciato nulla di intentato, provando a entrare anche nei segreti più inconfessabili di Palermo: «Indagine sulla massoneria per Insalaco», annotava in un’altra agenda del 1989, il 6 marzo, dopo aver scritto «Atti Palazzolo e omicidio Mattarella». Insalaco era l’ex sindaco ucciso un anno prima. Falcone continuava a segnare tracce e piste. Si preparava anche a passare al computer: «Esercitazione per Toshiba», annotava. In quel computeriniziò a scrivere il suo diario, che qualcuno poi trafugò dopo la strage. Sono rimaste le agende a raccontare di un siciliano coraggioso. In una è rimasta una fotografia di Falcone che sorride fra due amiche. «Era un uomo pieno di vita, dal sorriso travolgente. Quando ci riunivamo a casa della nonna — conclude il nipote — si sedeva sempre nel tavolo di noi bambini. E non smetteva di farci ridere».
La Repubblica, 22 maggio 2025
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