venerdì, maggio 16, 2025

Caporalato in Sicilia. Ti pago 1,6 euro l'ora: lo sfruttamento choc dal supermercato ai campi


Cinzia Arena

Un controllo della Finanza fa emergere un vero e proprio "sistema" ai danni di 37 dipendenti costretti a lavorare senza ferie e giorni di riposo. Dagli stipendi alla sicurezza, ecco i nodi scoperti

Chiamarlo sfruttamento è troppo poco. Il “sistema” adottato da un supermercato in provincia di Catania, probabilmente non l’unico, è una forma di "sudditanza", di caporalato estremo dove ai dipendenti, che non avevano alternative di impiego in altre realtà, era chiesto di lavorare tutto il giorno, tutta la settimana, senza ferie. E soprattutto con retribuzioni, se così possiamo chiamarle, minime. In alcuni casi meno di due euro l’ora. A scoprire queste irregolarità, con pesanti conseguenze sulle casse delle Stato, i finanzieri del Comando provinciale di Catania che hanno eseguito, nei comuni di Biancavilla, Adrano e Misterbianco, un'ordinanza con la quale il gip etneo ha deciso gli arresti domiciliari nei confronti del rappresentante legale e del direttore commerciale di questo supermercato affiliato alla grande distribuzione. L'accusa è di intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro e auto-riciclaggio. Disposto anche il sequestro preventivo della società del valore di 3 milioni di euro con la nomina di un amministratore giudiziario. 

L'indagine, coordinata dalla Procura di Catania e condotta dalla Compagnia di Paternò, trae origine da un controllo amministrativo in un noto supermercato di Biancavilla. Dagli accertamenti è emersa la presenza di 37 lavoratori che sarebbero stati impiegati per un numero di ore nettamente superiore rispetto a quelle previste dalla contrattazione collettiva di settore, con retribuzioni che, nei casi più gravi, si sarebbero attestate attorno a 1,6 euro l'ora e stipendi mensili di 700 o 800 euro per i giovani a fronte di oltre 60 ore settimanali di lavoro alla cassa o nei reparti. Accertata anche la violazione della normativa relativa ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie, alle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro.Il controllo ha permesso di quantificare l'omessa corresponsione di retribuzioni negli anni per un ammontare pari a circa 1,6 milioni e l'omesso versamento di contributi previdenziali per altri 1,15 milioni. 

«I lavoratori sfruttati, in ragione dello stato di bisogno in cui versavano in virtù della situazione di grave difficoltà economica tale da limitarne la libertà di autodeterminazione - hanno spiegato gli investigatori delle Fiamme gialle -, non avendo nessuna altra valida alternativa, accettavano di essere impiegati per molte più ore rispetto a quelle contrattualizzate, non godendo delle ferie maturate e fruendo di soli due riposi settimanali al mese». Per il rappresentante legale della società è emersa anche l’accusa di autoriciclaggio in relazione ai profitti derivanti dallo sfruttamento lavorativo.

Quando pensiamo al caporalato nel settore alimentare, il primo pensiero va all’agricoltura, e alle baraccopoli dove vivono gli immigrati in condizioni di miseria, pagati pochi euro l'ora per le raccolte stagionali. Ma le criticità non mancano lungo il resto della filiera, e anche nella grande distribuzione emergono storie di condizioni di lavoro inaccettabili e degradanti: è il caso del gruppo catanzarese Paoletti, finito al centro lo scorso ottobre di un’ampia indagine con tre arresti, dieci indagati e il sequestrato di attività per un valore di oltre ventisette milioni di euro. Nel mirino cinque supermercati a Montepaone, Soverato e Chiaravalle Centrale, in cui erano impiegati circa sessanta lavoratori vittime loro malgrado di uno sfruttamento sistematico. A fronte di una retribuzione di quattro euro l’ora, venivano pretesi turni di cinquanta ore alla settimana, con parte dei salari sottratti e poi restituiti in contanti, uno stralcio arbitrario dei giorni di riposo settimanali e delle ferie annuali. L’ambiente di lavoro era pieno di insidie e gli infortuni che ne derivavano dovevano essere dichiarati come incidenti domestici, con i dipendenti accompagnati in ospedale dai “responsabili” dei supermercati per impedire che dicessero la verità. 


Un sistema analogo a quello finito adesso sotto i riflettori in Sicilia, che si basava su falsi contratti part-time e altrettanto false buste paga e sulla connivenza di persone, da un sindacalista ad alcuni consulenti del lavoro, che a vario titolo contribuivano a coprire le evidenti irregolarità.

avvenire.it, 15/5/2025

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