venerdì, maggio 23, 2025

A Capaci, insieme a Falcone e Morvillo morirono tre agenti della scorta. Colapietro, Silp, li ricorda parlando delle condizioni attuali dei poliziotti


ROBERTA LISI

Sono centinaia gli uomini e le donne delle forze di polizia impegnati quotidianamente nella protezione di esponenti dello Stato minacciati e in pericolo. Un lavoro nascosto e silente il loro, spesso svolto senza adeguate condizioni e risorse. Tra i “giusti del lavoro” trucidati dalle mafie ci sono anche i poliziotti delle scorte.

A Capaci, 32 anni fa, insieme ai magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, furono dilaniati anche Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. Altri tre uomini furono feriti: Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Giuseppe Costanzo. È bene ricordarli e nominarli.

Pietro Colapietro, segretario generale del Silp Cgil, nel fare memoria parla delle condizioni di lavoro dei colleghi di oggi, quelli impegnati nelle scorte e quelli che ogni giorno lavorano nelle strade delle nostre città. Ricorda il segretario anche “le promesse mancate dell’esecutivo Meloni. Ancor più insopportabili in un giorno sacro come questo”.

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Siamo a 32 anni dalla strage di Capaci. Insieme ai giudici Falcone e Morvillo furono trucidati dalla mafia anche tre uomini della scorta, mentre altri tre rimasero feriti. Uomini dello Stato morti in difesa di altri uomini dello Stato.

La strage di Capaci rappresenta un momento tragico e fondamentale nella storia della lotta alla mafia in Italia. Ricordiamo con profondo rispetto i giudici Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, così come i membri della scorta, i nostri colleghi Vito, Antonio e Rocco, che hanno sacrificato le loro vite per difendere lo Stato. È nostro dovere non solo commemorare questi eroi, ma anche garantire che il loro sacrificio non venga dimenticato. La loro dedizione deve essere un faro per tutti noi nel nostro impegno quotidiano contro la criminalità organizzata.


A sentire i racconti di Paolo Capuzza e Angelo Corbo si scopre che la loro vita, dopo Capaci, è cambiata. Ma sembra quasi che quello Stato che hanno servito fino al sacrificio personale, si sia dimenticato di loro o abbia una sorta di imbarazzo a ricordare.

È inaccettabile che uomini come Paolo e Angelo, che hanno vissuto esperienze così traumatiche, si sentano dimenticati dallo Stato che hanno servito. È fondamentale che le istituzioni non solo ricordino il loro sacrificio, ma che offrano anche il supporto necessario per la loro reintegrazione e il riconoscimento del loro contributo. Dobbiamo lavorare affinché la memoria di questi eventi tragici si traduca in azioni concrete di sostegno e riconoscimento. Serve un cambio di mentalità affinché le esperienze di questi uomini siano considerate parte integrante della nostra storia collettiva, non solo un capitolo triste da archiviare.


La stagione delle stragi, fortunatamente, è finita. Ma ancora oggi moltissimi uomini e donne delle forze di polizia sono impegnati nella sicurezza di uomini e donne dello Stato. Due esempi: la senatrice a vita Liliana Segre minacciata da odio antisemita e Paolo Borrometi, giornalista sotto scorta per aver denunciato uomini della mafia. Anche di questi operatori delle scorte di oggi si parla troppo poco.

Anche se la stagione delle stragi sembra essere finita, il lavoro delle forze di polizia è più rilevante che mai. Gli agenti che oggi proteggono figure come Liliana Segre e Paolo Borrometi svolgono un lavoro rischioso e totalizzante, non sempre compensato come sarebbe giusto. È essenziale che la società e le istituzioni riconoscano il loro impegno e le difficoltà che affrontano quotidianamente. La continua minaccia della mafia e di altre forme di violenza richiede che gli operatori di polizia siano equipaggiati, formati e incoraggiati nella loro attività. Troppo spesso chi è in prima linea, e non vale solo per le scorte, si sente abbandonato dallo Stato. 

Collettiva.it, 23 maggio 2025

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