martedì, maggio 13, 2025

PALERMO, CON I 181 ARRESTI AZZERATO IL VERTICE DI COSA NOSTRA

Il Procuratore Maurizio de Lucia

Giovanni Burgio

Presi 8 reggenti e 11 esponenti di spicco

L’operazione antimafia che martedì 11 febbraio ha portato in carcere 181 persone, si può definire Cupola.3” perché, dopo il 2008 e il 2018, si è registrato il terzo tentativo di ricostituire l’organo direzionale di Cosa Nostra. Ma è stata anche la terza più consistente retata nella storia della lotta contro Cosa Nostra.[1]

A metà febbraio non sono state colpite soltanto le cosche della città di Palermo, ma anche quelle di Bagheria, Carini e Terrasini. Il mandamento di San Lorenzo – Tommaso Natale, che comprende anche i centri provinciali di Carini e Terrasini, è quello con più arrestati, 69.[2] Seguono il mandamento di Porta Nuova con 56 affiliati, quello di Santa Maria di Gesù con 18, quello di Bagheria con 17, 12 della Noce, 6 di Pagliarelli.

Abbiamo preferito fare un’unica grande inchiesta e procedere con numerosi arresti invece di spezzettare in più parti le indagini che stavamo portando avanti – dice il Procuratore di Palermo Maurizio de Lucia –

E questo perché una cosa è arrestare nello stesso tempo i vertici di più mandamenti, altro invece è decapitare un solo mandamento. Infatti i capi di un mandamento, una volta in carcere, sono facilmente sostituibili, e perdipiù le altre famiglie possono anche correre in loro aiuto. Diversa è la situazione in cui contemporaneamente si colpiscono più mandamenti assieme. Il colpo inferto in questo caso è più incisivo e determinante. La mia direzione ha adottato questa linea proprio per colpire più a fondo Cosa Nostra”.[3]


LA TECNOMAFIA

Da più parti si è messo in rilievo come ad essere colpita sia stata la “tecnomafia” e la “criminalità digitale dark”.[4] Ed effettivamente le indagini hanno rivelato il livello extra evoluto e ultramoderno raggiunto dalle cosche per comunicare fra loro ed eludere i controlli restrittivi del carcere. Nuovi sistemi di collegamenti appresi dai cugini ‘ndranghetisti con i quali si sono instaurati legami sempre più solidi.

Minuscoli apparecchi telefonici, continue sostituzioni di sim, cellulari “a citofono”, linguaggi criptati, “chat a tempo”, sono stati alcuni degli strumenti usati dai clan per organizzare le riunioni della neocommissione provinciale di Cosa Nostra palermitana. Un sistema rapido ed efficiente che fa felici i boss che non nascondono la loro soddisfazione “Non c’è più da cosa ri trent’anni fa…L’hanno fatta tre volte e tre volte l’hanno arrestato a tutti. Trent’anni fa non si sapeva niente, ora invece sappiamo tutte cose” dice Francesco Pedalino di Santa Maria di Gesù.[5]

Ma se Cosa Nostra, come al solito, è operativa e svelta nel trovare i giusti strumenti per comunicare e arricchirsi senza essere scoperta, lo Stato e i suoi organi repressivi non sono meno esperti e competenti. Anche perché informatica, web e cripto linguaggi non sono mezzi perfetti e inviolabili, e hanno anche loro punti deboli che permettono la penetrabilità.

In questo caso i carabinieri hanno notato che alcune celle telefoniche avevano un notevole flusso di comunicazioni, e tutti gli utenti utilizzavano la stessa compagnia telefonica spagnola. Siccome i telefoni che usano linee criptate devono avere tutti lo stesso Apn (Acces point name), una volta individuato il punto d’accesso si ha anche la mappa dei numeri connessi, e così si sono scoperte le singole utenze.

A queste capacità professionali si aggiungono anche gli errori che fanno i boss. Per esempio in quest’indagine è venuto fuori che nel riprogrammare una chat che era improvvisamente scomparsa i clan hanno immesso di nuovo tutti i nomi dei vecchi componenti, rivelando così la nuova mappa del potere di Cosa Nostra. 



I NUOVI VERTICI

Si è avuto quindi, l’apice aggiornato di Cosa Nostra palermitano e dintorniTommaso Lo Presti, il pacchione, e Stefano Comandè di Porta Nuova, Francolino Spadaro della Kalsa, i fratelli Nunzio e Domenico Serio e Francesco Stagno di Tommaso Natale – San Lorenzo, Guglielmo Rubino di Santa Maria di Gesù, Gino Mineo e Giuseppe Di Fiore di Bagheria.

IL BUCO DELLE CARCERI

Ma il dato di fondo che si può trarre da quanto appena descritto è che il sistema carcerario, anche quello fortemente controllato del 41 bis, non ha funzionato. Se decine di telefonini sono entrati nei reclusori e le reti di comunicazioni sono state facilmente attivate, vuol dire che senz’altro c’è stato un deficit d’ispezione e contrasto.

E se è pur vero che le minuscole sim possono facilmente essere occultate e passare i controlli, i sistemi e le reti di comunicazioni possono invece essere disturbate e oscurate. Dice infatti l’ex capo della DNA e ora deputato del movimento 5 stelle e vicepresidente delle commissioni Giustizia e AntimafiaFederico Cafiero de Raho “Chiedo se il ministro Nordio non ritenga sia giunto il momento di adottare i jammer disturbatori di frequenze o altri strumenti utili per impedire le comunicazioni dalle carceri con l’esterno”.

Sulla difficile situazione delle guardie carcerarie è intervenuto Gioacchino Veneziano, segretario generale del UILPA polizia Sicilia. Il quadro che descrive è sconfortante “I numeri della polizia penitenziaria siciliana sono miseri. Ci sono 100 unità disarmate, a viso scoperto, che 24 ore su 24 vigilano su oltre 1.200 detenuti nelle carceri di Agrigento, Augusta, Caltanissetta, Bicocca, Catania, Messina, Pagliarelli e Ucciardone a Palermo, Siracusa e Trapani. Da anni denunciamo la fragilità del sistema carcere, soprattutto nei reparti di alta sicurezza”.

PORTA NUOVA

In questa inchiesta il mandamento predominante è quello di Porta Nuova. Le famiglie mafiose di Palermo Centro, Porta Nuova, Borgo vecchio, Kalsa, sarebbero state guidate in successione temporale da Tommaso Lo Presti il lungo, Giuseppe Auteri, e più recentemente da Tommaso Lo Presti il pacchione o Gabibbo. Dalle indagini emerge che proprio quest’ultimo, non solo è al vertice del suo territorio, ma è il personaggio più autorevole e il più riconosciuto dagli altri mandamenti. Nelle intercettazioni dice di lui Francesco Stagno di Tommaso Natale – San Lorenzo “Non è uno qualunque…lui ha le chiavi… lui ha le chiavi di ovunque…lui è il primo”.

Ma il suo ritorno al potere avrebbe creato mugugni e malumori, soprattutto perché avrebbe tagliato i sussidi alle famiglie dei carcerati, perfino quello di suo cugino Calogero Lo Presti. E siccome si parla di cinquemila, tremila e cinquecento, mille e cinquecento euro al mese, si capisce il rancore di familiari e detenuti nei suoi confronti.

È in questo mandamento che un personaggio autorevole non è voluto diventare capo, opponendo “il gran rifiuto”. Si tratta di Francolino Spadaro, figlio di Masino “re della Kalsa” numero uno del contrabbando di sigarette e poi trafficante di stupefacenti. È nel 2018 che Spadaro junior non accetta di mettersi alla testa dell’intero territorio di competenza. Piero Pozzi nei colloqui intercettati dice che il capomandamento Gregorio Di Giovanni “…gli voleva dare tutte le cose a lui. E lui “No, vedetevela voi”. Non c’è gente che gli piace”. Oltre ad avere un cognome pesante e di rispetto, Francolino Spadaro aveva fama di paciere, di mediare, di risolvere controversie. Molti si sono rivolti a lui per dirimere diverse questioni, e non solo quelle importanti ma anche quelle più semplici. Quotidianamente forniva consigli e lanciava avvertimenti nel pericoloso mondo di Cosa Nostra palermitana.

Dalle indagini è risultato che questo territorio è stato governato in via gerarchica e palmo a palmo dagli uomini dei clan, che soprattutto nel traffico degli stupefacenti si sono serviti di una moltitudine di soggetti che obbedivano ciecamente e facevano rispettare le regole imposte.[6] Non c’era piazza di spaccio, strada o vicolo che sfuggiva al controllo dei fornitori, dei capopiazza, dei pusher. I pagamenti prevedevano o una percentuale sugli incassi o una quota fissa mensile.

Anche le attività economiche venivano sottoposte al rigido “piano regolatore” pensato dai boss. Pizzo, aperture di negozi, imposizione di merce, erano infatti minuziosamente regolati. Perfino gli Apetaxi, il nuovo piccolo mezzo di trasporto utilizzato per fare girare i turisti nel centro storico, erano sottoposti alla tassa di 100 euro per potere circolare.

Negli ultimi anni è stato questo il mandamento che ha registrato il più elevato numero di omicidi e gli atti di violenza più efferati. Tra i documenti dell’inchiesta spicca un episodio di particolare crudeltà ai danni di un uomo colpevole non solo di millantare amicizie con pregiudicati, ma anche di aver mancato di rispetto ad un affiliato. Al raid punitivo con calci, pugni al volto e al torace, non si sono opposti neanche i parenti della vittima, che anzi chiedevano continuamente scusa agli aggressori. Un clima d’intimidazione e acquiescenza altissimo.[7]

DALLA RIFFA ALLE SCOMMESSE ONLINE

Uno degli strumenti delle famiglie mafiose per tenere sotto controllo il territorio è sempre stato il gioco illegale, e la riffa è la più antica estrazione di numeri presente nei vari quartieri.

Il collaboratore di giustizia Filippo Di Marco ne ha descritto i minimi dettagli: i luoghi, le persone, le modalità, i pagamenti. Ecco qualche esempio. Ci sono due tipi di estrazione, una giornaliera, l’altra mensile. La prima, con puntate da venti euro, può avvenire anche in due tempi, una la mattina e l’altra il pomeriggio. In questo caso la vincita può andare da cento a duecento euro. L’altra, quella mensile, con puntate da cento euro, comporta una vincita di 800 euro, ma in realtà gli uomini dei clan danno al vincitore non più di 300 euro. 

Tutti i commercianti sono costretti ad acquistare i biglietti, e perfino chi gira i vicoli e le strade per distribuire i numeri è sottoposto all’acquisto dei tagliandi.

Ma il mondo si evolve e i boss sono i primi a seguire le innovazioni tecnologiche. Se nell’ultimo decennio il personaggio che guidava il business delle scommesse online è stato Ninì Bacchi, dal 2018 la gestione sembrerebbe essere passata ad Angelo Barone, che con il mandamento di San Lorenzo – Tommaso Natale avrebbe avuto un rapporto privilegiato.

Le agenzie di scommesse sarebbero state controllate in diversi modi. Se il circuito era legale, o le agenzie venivano intestate a dei prestanomi, o il gestore pagava una percentuale sugli incassi. La rete sottobanco e illegale vedeva invece circolare le scommesse clandestine sui “pannelli” collegati a siti esteri. E ancora una volta era Malta il paese dove era situato il terminale online.

L’affare, come diceva lo stesso Barone in un’intercettazione, si aggirava sui quindici milioni, con “commissioni mensili da duecento a trecentomila euro”. E quando Barone ha sentito il fiato sul collo degli investigatori ha pensato di trasferirsi e andare lontano, dando le direttive per gestire l’enorme quantità di denaro “Io me ne vado. L’Italia per noi è diventata scomoda. Io me ne devo andare perché non intendo assolutamente perdere quello che ho creato fino ad oggi. Cominciate a farvi i passaporti”.

L’IMPOSIZIONE DEL PIZZO E IL “PIANO COMMERCIALE” DI COSA NOSTRA.

“Cosa Nostra resta fortemente ancorata al metodo delle estorsioni: ne abbiamo accertate una cinquantina negli ultimi due anni – dice il generale di brigata dei carabinieri Luciano Magrini – In pochi denunciano.Evidentemente l’operatore commerciale teme la mafia, che è stata in grado di creare un sistema di tensioni e pericoli tale da incutere forte timore”.

Ancora più critica verso gli ambienti economici locali è il giudice per le indagini preliminari Claudia Rosini. Il suo giudizio è duro e severo “Un mondo imprenditoriale massicciamente infiltrato ed inquinato dal sodalizio mafioso, interamente permeato di logiche mafiose secondo cui chi denuncia è sbirro…In definitiva refrattario ad ogni sussulto di dignità”.

Non c’è quartiere di Palermo e attività aziendale che sfugge alla tassa mafiosa del “pizzo”.Panifici, pollerie, parcheggi, supermercati, perfino gli ambulanti, devono versare le quote richieste da Cosa Nostra. Ma soprattutto i boss decidono chi deve vendere e chi no, quale prodotto deve stare sul mercato e quello da escludere, quale grossista favorire e quello che deve andarsene. In poche parole, i clan impongono un loro “piano commerciale” a cui nessuno può sfuggire.


A Mondello e Sferracavallo il pesce si deve comprare solo dal fornitore indicato dal clan, e i ristoratori devono rifiutare la merce proposta dal vecchio grossista. E se c’è qualcuno che dice “Ma a noi per ora non ci serve niente” gli si risponde “E vabbè, per ora ti prendi una minchiata (poca roba). Dobbiamo cominciare adagio, adagio”. Cozze, ricci, cannolicchi, pesce e frutti di mare, hanno la medesima provenienza in tutti i ristoranti delle località marittime. E se, come è avvenuto a Mondello, il prezzo svantaggioso e la qualità del prodotto scarsa provocano qualche reazione, la replica è secca: non c’è niente da fare, bisogna comprare la merce imposta.

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In città non si erano mai visti tanti rotoloni di carta, sia nei negozi sia nei banchetti degli ambulanti. Tutta la zona di corso Tukory, Ballarò e mercati del centro storico dovevano rifornirsi e vendere questo prodotto. In quindici giorni ne erano stati piazzati 1.500 pezzi. Ma anche bicchieri e piatti di plastica facevano parte della fornitura.

Il caffè non sfugge all’angheria. E se qualcuno si azzarda a dire “Era acqua” lamentandosi della pessima qualità, la risposta perentoria è “Nessuno si è mai lamentato”.

IL CAOS DELLO ZEN

Il quartiere ZEN di Palermo è famoso in Italia e all’estero. Disegnato dall’architetto Gregotti alla fine degli anni ’60, è diventato sinonimo di degrado, delinquenza, illegalità. Gli stessi conetti utilizzati per definire i complessi popolari di Librino a Catania e le Vele di Scampia a Napoli.

Proprio le carte di quest’inchiesta ci spiegano la causa storica che ha creato questa situazione alla periferia di Palermo. Francesco Stagno, intercettato, ricorda che la fornitura idrica, chi “aveva fatto i lavori”, era stato Salvatore Lo Piccolo, boss e “signore” di San Lorenzo. E aggiunge “Ci deve essere sempre chi pensa a certe cose. Chi pulisce i padiglioni (i complessi condominiali), chi mette l’acqua, ripara il motore (dell’acqua), ti mette le luci. Ci vuole un capo per ogni cosa, per rendere le cose sempre buone…non è pizzo”.[8]

In sostanza, in mancanza del Comune, della Regione, dello Stato, interviene Cosa Nostra con i suoi uomini e i suoi mezzi, che diventa quindi padrone assoluto del territorio. Un regno di soprusi e violenze.

Nel blitz dell’11 febbraio, in questa zona sono state arrestate 35 persone. Il vuoto di potereela lotta per la successione scatenatasi nei giorni e mesi successivi hanno provocatorisse, auto incendiate, colpi di pistola, fucilate, a non finire. Una situazione che già in passato era stata definita dagli stessi boss difficile e ingovernabile. Diceva Gennaro Riccobono “Là c’è una mannara: Ci vogliono cento cannoni per sistemare là. Questi cani con la barba…un quartiere perso…perso”.

E un ulteriore conferma dello stato in cui versa l’intero quartiere viene dai risultati dell’indagine sull’omicidio dei tre ragazzi a Monreale sabato 26 aprile. I primi due indagati provengono infatti dallo ZEN. Si è scoperto che tutt’e due avevano amici, parentele, frequentazioni, di ambienti mafiosi. Ancora una volta si può affermare, quindi, che comportamenti violenti e spietati sono stati generati e ispirati da quei principi e valori diffusi da Cosa Nostra. 


Giovanni Burgio

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12.5.25


[1] La prima, del 1984 con 366 arresti, è stata quella denominata S. Michele, che poi sfociò nel maxiprocesso. La seconda, Tempesta del 1996, ebbe 300 mandati di cattura. Le altre due operazioni che seguono per numero di arrestati questa dell’11 febbraio sono la Perseodel 2008 e Cupola.2 del 2018; portarono in carcere rispettivamente 99 e 90 persone.

[2] 35 sono i fermati delle famiglie mafiose della città, 34 delle famiglie mafiose della provincia.

[3] Intervento al convegno Mafia e antimafia negli anni ottanta, Palermo, Villa Malfitano, 5 maggio 2025.

[4] Cfr. Giornale di Sicilia, 12.2.25.

[5] Il riferimento è ai tentativi del 2008 e 2018 di ricostituire la Cupola.

[6] Si consideri che il mandamento di Porta Nuova è il secondo per numero di arrestati. È dietro solo a quello di Tommaso Natale – San Lorenzo, che però è molto più esteso.

[7] C’è da notare che in questa retata a Porta Nuova il numero di giovanissimi arrestati sotto i trent’anni è molto più alto rispetto a quello di tutti gli altri mandamenti: 15 su 24.

[8] R. Lo Verso, Allo Zen “sono in riscossione le quote condominiali imposte dai boss”, LiveSicilia.it, 4 marzo 2025.

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