domenica, giugno 15, 2025

Omelia del sacerdote Rosario Giuè, in occasione dei funerali di Gino Campanella, Santa Maria di Portosalvo in Palermo, 14 giugno 2025


di ROSARIO GIUÈ

Care amiche, cari amici, fratelli e sorelle, siamo qui tutte e tutte per dare il saluto a Gino. La nostra gratitudine è immensa. Vorrei sottolineare che il brano del Vangelo ora proclamato, tratto da Giovanni, è stato scelto perché richiama le parole di Gesù sul comandamento dell’amore. Questa scelta è  stata fatta per dare oggi voce alla vita di Gino: una vissuta nell’amore, nella dimensione personale, ma anche nell’amore per la vita per la Città. Un amore personale  e un amore politico: per la polis, nella polis.

Gino: una persona seria, semplice, determinata, come serio, semplice, determinato è l’Amore. L’amore non è tanto un sentimento, è, più ancora, una scelta, una scelta di libertà, di fiducia nel futuro: la fiducia che cambierà si può e si deve.

«Dare la vita per i propri amici»: vuol dire essere e farsi segno per il cambiamento della Città, delle sue prassi, delle sue relazioni. 

L’Amore: è gridare il proprio diritto alla gioia e alla gioia degli altri e delle altre, senza mai omologarsi. Questo è stato, per usare un termine biblico, un ministero: un servizio  antifascista reso da Gino alla Città, a Palermo. Il Paese e il mondo guidato da bulli oggi ne hanno tanto bisogno, ancora. 

Abbiamo sentito le parole evangeliche: «Io ho scelto voi e vi ho costituiti  perché andiate  e portiate frutto e il vostro frutto rimanga». Siamo costituiti, cioè c'è una spinta interiore che non ci fa stare in silenzio di fronte alle discriminazioni, di fronte alle diseguaglianze, di fronte all'oppressione fascista, qualunque forma essa assuma.

«Portiate frutti, e il vostro frutto rimanga»: il frutto, i frutti della testimonianza di Gino rimane. La Città lo sa e gli rende oggi la sua gratitudine, con voi, ora, qui. 

Vorrei anche ricordare, in questo momento,  le persone che si sono tolte la vita  a causa della discriminazione, dell’esclusione, della violenza. 

C’è tanto da fare per la Chiesa. L’inno alla carità di Paolo è rivolto alla Chiesa di Corinto. Paolo chiama la Chiesa alla carità. La Chiesa, dunque, non è una dogana, diceva papa Francesco, non può esserlo. Essa è piuttosto un «ospedale da campo che cura le ferite»  (ancora Francesco) di chi è escluso, esclusa, emarginato, emarginata. La Chiesa è chiamata a stare in mezzo alle periferie esistenziali, con  e nelle periferie esistenziali, mai paternalista. Una Chiesa amica, sorella, compagna, più che madre. Mai patriarcale.

Per sapere quale è la vera fede dell’uomo bisogna trovare non ciò che egli crede, ma ciò in cui spera. Gino e Massimo, perché bisogna dire anche di Massimo, sono stati segno di speranza per un mondo  nuovo possibile.  Gino e Massimo hanno sperato e lottato per ciò.

Vorrei ricordare l’evento dell’unione civile, allora solo simbolica, a Piazza Pretoria, nel 1993. Prima di quell’evento nell’Aula Rostagno vi era stata una tavola rotonda, con il magistrato Francesca Imbergamo, con Luigi Manconi, io ero pure lì a quel tavolo.  

Gino e Massimo, dunque, sono stati “segno” coraggioso, costante, dignitoso, per una città umana dal volto umano e dei diritti. Diritti non concessioni paternalistiche. La Costituzione italiana, all’articolo 3, afferma che la Repubblica rimuove gli ostacoli che, di fatto,  limitano la libertà e l’uguaglianza. Occorre ricordalo oggi  e domani, facendo sì che i desideri e i bisogni, attraverso i diritti, si  traducano in realtà.

«Non vi chiamo più servi»: cosa vuol dire oggi? Avere diritti, riconoscere dritti, tutelare diritti. Gesù fu segno, sacramento di Dio e di tutto questo: di un mondo fraterno, fatto di amiche e amici, senza servi e serve. Così sia.

Palermo, 14 giugno 2025

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