DINO PATERNOSTRO
Sono andato a prenderlo a Palermo nel primo pomeriggio del 17 giugno, alla stazione ferroviaria, e poi di corsa a Corleone per la presentazione (alle 18.00 nel salone “Dalla Chiesa” del Cidma) del suo ultimo libro: “Immortali”. Conosco Attilio Bolzoni da tanti anni, lo considero uno dei più grandi giornalisti italiani, uno dei maggiori esperti di mafia.
È un amico, un caro amico. Io ero corrispondente da Corleone del giornale “L’Ora” quando lui ne era un giornalista di punta. Ed ero corrispondente da Corleone di “Repubblica” quando lui ne era una delle firme più prestigiose. Adesso scrive per “Domani”, ha un suo blog ed ha scritto tanti libri, tra cui uno (il capo dei capi) dedicato a Totò Riina.
Viaggiare con lui non è solo viaggiare in macchina, ma viaggiare tra la storia e la cronaca di Palermo, di Corleone, della Sicilia, con qualche zoommata in Italia e nel mondo. Ricordi suoi, ricordi miei, che s’incrociano.
All’Antico Central Bar Ruggirello Attilio vuole offrirmi un caffè. Cuntu malu fattu, perché a Corleone agli ospiti è vietato pagare. Basta uno sguardo al barista. Lo capisce pure Attilio e non insiste.
Nella sala del Cidma già ci aspettano: amici, conoscenti, cittadini attratti dalla fama del nostro ospite.
Cominciamo. Parlo io, interviene il sindaco Walter Rà, poi Attilio che traccia a grandi linee il percorso del suo libro, quindi i saluti dell’avv. Domenico Mancuso, vice-presidente del Cidma. Quindi gli interventi-domande di Francesca Soltani, Pietro di Miceli, Marcus Salemi e mie. Attilio risponde a tutti.
Ecco una sintesi non virgolettata del suo pensiero: l’era dei “corleonesi” è chiusa per sempre, arrestati, morti in carcere. E quelli ancora vivi non contano più nulla. E - aggiungo io - questa per i corleonesi e i siciliani onesti non è una cattiva notizia.
Non conosciamo più la mafia. Sono i boss straccioni e ammuffiti che si vedono dopo ogni blitz? Da più parti si invoca il metodo Falcone, si suggerisce di seguire il denaro, ma le inchieste concluse con questo metodo non arriveremmo a contarle sulle dita di una mano, spiega Bolzoni.
Lo Stato ha disarticolato la mafia militare, ma è incapace di colpirne il cuore. I mafiosi, quelli conosciuti come mafiosi, ormai hanno un nome, un cognome, una scheda segnaletica, condanne ed obblighi di legge. Non sono loro che comandano. A comandare è quella che (con un termine suggestivo) chiamiamo “borghesia mafiosa”. Un termine moderno e antichissimo, usato per la prima volta da due studiosi toscani nel 1875-76, Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, che vennero in Sicilia per capire meglio le cose di quest’isola. E scrissero che a comandare davvero non erano mafiosi straccioni ma “i facinorosi della classe media”, termini facilmente traducibili in “borghesia mafiosa”. Ne hanno parlato i due studiosi toscani, ma negli anni ‘70 anche l’intellettuale e politico di sinistra Mario Mineo, che ha usato per la prima volta il termine moderno “borghesia mafiosa”. Poi ne ha continuato a parlare Umberto Santino ed oggi sembra entrato nel linguaggio comune. Ma cos’è questa borghesia mafiosa? Sembra un’entità eterea, impalpabile, ignota, ma è lei che comanda. Bolzoni prova a spiegarlo: è quella rete composta da imprenditori, commercialisti, avvocati, notai, alti burocrati. È questa la rete che oggi comanda in Sicilia. Una rete che ha fastidio delle regole e trova più conveniente violentarle, magari (a volte) rispettandole formalmente.
Ed io rifletto che è stato così anche a Corleone. Nella seconda metà del 1800 nella nostra città non comandava Giuseppe Morello (Joe l’artiglio), l’assassino del comandante delle guardie rurali Giovanni Frisella Vella. No, comandano ricchi proprietari terrieri come Paolino Streva o come i Patti, al cui servizio era Morello ed altri killer come lui.
Purtroppo in Italia - racconta Bolzoni - la mafia esiste da più di 200 anni, ma la legge che la punisce è appena del 1982.
Oggi c’è una mafia trasparente, che si vede e non si vede. Una mafia che ha scoperto il valore dell’antimafia, fino ad imporre la presenza del “mafioso antimafioso”. Riconoscere una mafia che non si mostra all’esterno con la violenza delle armi è molto difficile. L’antimafia sociale ha perso la sua spinta e il giornalismo non è riuscito a nascondere i suoi limiti, dice Bolzoni. E ci parla di Calogero Antonello Montante, di Ivan Lo Bello (campioni falsi di antimafia), di Giuseppe Catanzaro (il re delle discariche), di Silvana Saguto e dei suoi metodi di gestione dei beni confiscati, della continuità dei governi Lombardo-Crocetta, del generale Mario Mori, che scrive libri e gira l’Italia ed è ospite d’onore in convegni e conferenze, ma non si capisce perché non fece perquisire il “covo” di Totò Riina, dopo il suo arresto del 16 gennaio 1993.
Chiusa per sempre l’era dei corleonesi, oggi arrivano gli imprenditori. E si prova a riscrivere la storia recente. Non esistono più le stragi del ‘92 e del ‘93 e un disegno unitario della mafia per piegare lo Stato. Secondo alcune procure e alcuni magistrati, c’è la strage del 23 maggio, c’è la strage del 19 luglio. La prima strage isolata dalla seconda, molto vicine nel tempo e separate per movente. Come se i mandanti fossero diversi, come se una strage non fosse naturale conseguenza dell’altra. Borsellino è stato ucciso per l’inchiesta mafia e appalti, e non esiste la trattativa Mafia-Stato. Si trascura ogni nesso con i morti dei Georgofili a Firenze del 27 maggio 1993, con i morti di via Palestro a Milano del 27 luglio 1993, con le esplosioni a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro (Roma) del 28 luglio 1993, con la mancata strage allo stadio Olimpico di Roma del 23 gennaio 1994.
È il nuovo corso dell’antimafia, sono gli effetti speciali di una restaurazione politica e culturale, ancora prima che investigativa, che seppellisce scenari complessi e indiziati eccellenti.
Ci racconta Bolzoni che aveva auspicato che in questa legislatura non ci fosse più una commissione antimafia. Meglio saltare un turno, meglio per tutti. Aboliamola! E adesso che è stata eletta, che ha un presidente (Chiara Colosimo), rivendica ogni parola detta e scritta in precedenza. Questa - dice Bolzoni - è la più inconcludente e deleteria Commissione parlamentare antimafia che si sia mai vista da quanto, alla fine del dicembre 1962, è stata istituita per legge. Faziosa e grossolana, è un’Antimafia che trova “incompatibilità” in casa altrui ma finge di non vedere I cadaveri nei suoi armadi.
Gira su Facebook una foto che ritrae Luigi Ciavardini, componente dei nuclei armati rivoluzionari e condannato a trent’anni per la bomba del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, con una sorridente Chiara Colosimo che lo tiene per mano. Ma questo non fa scandalo. Fa scandalo il senatore Scarpinato che parla al telefono col suo ex collega Gioacchino Natoli, indagato a Caltanissetta per avere archiviato uno spezzone del dossier su Mafia e Appalti”.
Amara la conclusione di Attilio Bolzoni: “Qualcuno sta riscrivendo una storia della mafia e dell’antimafia che non sarebbe piaciuta affatto a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino”.
Grazie, Attilio. Grazie per i tuoi stimoli forti su argomenti così importanti. È vero, nulla sembra essere come prima, come sembrerebbe a prima vista. Dobbiamo riscrivere parole come mafia e antimafia. Dobbiamo modificare pratiche e comportamenti. Sicuramente si dovrebbe abolire la parola “legalità”, che sembra sempre più vuota, inutile, capace di contenere tutto e il suo contrario. Significa, quindi, che dobbiamo essere ancora più attenti, ma non rassegnati. La tante persone presenti nella sala Dalla Chiesa di Corleone, e i numerosi interventi finali ci incoraggiano.
Dino Palernostro
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