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Il Pride di Budapest |
È la prima cosa che fa. Non abbatte il costo della vita, non crea lavoro. Niente di tutto questo. Abbatte i diritti
Che strana storia, fateci caso. I diritti individuali, i diritti della persona, quando è la sinistra a occuparsene sono, nel racconto irridente della destra, una irrilevante sciocchezza: “fuffa ideologica” con cui leader nostalgici dei centri sociali si baloccano invece di occuparsi di lavoro, salute, costo della vita, prezzo della casa. Le cose serie insomma. Ma no. Loro, la sinistra perdente, perdono sistematicamente perché si occupano di cittadinanza, aborto, identità di genere, libertà di espressione, diritto di manifestare, condizione dei detenuti. Cosa vuoi che gliene importi alla gente normale? Quelli che non vengono da fuori, non sono in galera, i figli li fanno fra uomini e donne secondo natura, se sono uomini sono uomini, se sono donne sono donne come è giusto e sano, no generale Vannacci?
La brava gente, la maggioranza che difatti guarda come vota. Voi con le vostre baggianate continuerete a perdere per i prossimi vent’anni, fate pure, giù a ridere.Poi però. Poi appena la destra va al governo, quei diritti li elimina. È proprio la prima cosa che fa, non la seconda o la terza. La prima. Non abbatte il costo della vita, no. Non crea lavoro dignitoso, non fa funzionare gli ospedali pubblici, non costruisce nuove case per chi non può permettersi l’affitto né assegna maggiori tasse a chi si arricchisce trasformando gli appartamenti in stanze per turisti.
Figuriamoci. Niente di tutto questo. Quando è la destra a occuparsene improvvisamente le baggianate diventano un chiodo fisso. Guardate in America. Annullamento della direttiva del 2022 che obbligava gli ospedali a garantire l’aborto in caso di emergenze mediche.
Crociata contro gli immigrati.
Ridimensionamento dello ius soli garantito dalla Carta costituzionale, chi nasce in America è americano ma no, invece, dice il nuovo presidente: dipende.
Se è per esempio figlio di immigrati irregolari allora non vale. Crociata contro le università, covo di gente di identità incerta e religione discutibile. Per non parlare dei manifestanti, di chi esprime un pensiero non conforme: lì, proprio, l’esercito. Proiettili per ora di gomma anche contro i giornalisti che documentano in diretta, la libera stampa è nemica.
Quindi tirando una riga. I diritti della persona sono irrilevanti quando è la sinistra a rivendicarli e sono cruciali quando è la destra a governare.
Non contano, non importano a nessuno, ma poi contano: importano moltissimo a loro, appena si insediano. Leggo elogi del candidato sindaco di New York, il democratico Zohran Mamdani, musulmano di origini ugandesi che — bravissimo!
— ha vinto le primarie non parlando la lingua “ideologica” della politica, non rivendicando diritti delle minoranze religiose o etniche come ci si sarebbe forse aspettati dalla biografia ma occupandosi di faccende concrete, quelle che capiscono tutti. Tipo il costo della vita, appunto.
Quanto costa un hot dog a una bancarella per strada? Troppo. Favoloso il video in cui intervista gli ambulanti. Ha di certo vinto per quello. Può anche essere. Però New York è New York, non è l’America, e comunque: se quando vai per strada a protestare arrestano anche te finisce che l’hot dog non lo compri. Mangi alla mensa del carcere.
Questioni primarie.
Il grande equivoco, la trappola in cui sono/siamo tutti caduti, è che i diritti sociali e quelli individuali siano alternativi. Non lo sono.
Ci si può facilmente occupare di entrambi, persino allo stesso momento. Negli anni Settanta, in Italia, andò così. Non è che lo Statuto dei lavoratori impedì di scrivere la legge Basaglia o viceversa. Non è che occuparsi della classeoperaia rendesse irrilevante vedere cosa accadeva nei manicomi o che la possibilità di divorziare, di abortire, fosse antitetica alla progettazione di una migliore scuola e sanità pubbliche. Vale per chi governa, per chi fa politica, vale per ciascuno di noi. Ci si può occupare allo stesso tempo di riforma elettorale e di uscire a comprare il pane.
Sul termine ideologico, che avete letto almeno un paio di volte fin qui, si è aperta poi un’altra botola: è diventato un insulto, un’arma politica per denigrare l’avversario — in genere da destra a sinistra — come se avere un’idea che muove l’azione, cioè agire in base a un pensiero (questo significa ideologico: relativo a un’idea) fosse una colpa. Come se fosse meglio separare il pensiero dall’azione o, ancora meglio, agire senza pensare. Il ministro Matteo Piantedosi, ex prefetto, responsabile del dicastero dell’Interno dunque niente meno che della sicurezza nazionale (sì, certo, tra le altre piccole cose) ha accusato la Corte di Cassazione di essere ideologica: ha difatti segnalato, la Corte, alcuni elementi di anticostituzionalità del “suo” decreto sicurezza.
La Cassazione. Ideologica. Lo dice un ministro.
L’indipendenza dei poteri, ricordate? Legislativo, esecutivo, giudiziario. L’architrave dell’edificio che abitiamo. Saremmo all’emergenza istituzionale se non ci fosse come al solito un tragico elemento di ridicolo. Il ministro, difatti, le motivazioni della Corte non le ha lette. A domanda candidamente risponde: no, la relazione non l’ho letta, «non ho avuto tempo», ma mi pare «per come è stata diffusa» connotata da «forte impostazione ideologica». Non ho avuto tempo. Ne ho sentito parlare. Per quel che mi hanno detto. Un ministro che parla della Corte di Cassazione come un utente anonimo di internet commenta un articolo di cui gli hanno inoltrato il titolo. Non l’ho letto, ma non mi piace. Vergogna.
Ideologici. Giudici comunisti. La sinistra perdente. Rassegnatevi, le vostre questioni di lana caprina non interessano nessuno. Lasciate che siamo noi a occuparcene, a mettere ordine in tutto questo disordine, a educare la gente a stare a casa a guardare la nostra bella tv.
È stato spettacolare, monumentale il Pride di Budapest che ha visto duecentomila persone per strada nonostante le minacce di Orbán. Ma non era una manifestazione ideologica. Non era, suggerisco anche a sinistra, una parata antiregime, antifascista. Anche, certo. Era prima di tutto una rivendicazione dei diritti della persona, delle libertà degli individui. E certo: sono le minoranze che devono difenderli, difenderle. A questo serve la piazza: a contestare. Chi governa non ha bisogno di contestare. Chi governa agisce, e per prima cosa quei diritti li elimina.
La Repubblica, 30 giugno 2025
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