Piazza Noce
GIOVANNI BURGIOIl quartiere Noce
Nel mandamento mafioso della Noce di Palermo, con i 12 arresti del 9 aprile, si è scoperta una silenziosa ma accanita lotta per il potere negli ultimi due-tre anni.
Due gli schieramenti contrapposti: da un latoGiuseppe Romagnolo, “uomo d’onore riservato”, “un ciuriddu”, un fiore appena sbocciato, sconosciuto ai più, che faceva da reggente del mandamento.
Dall’altro Renzo Lo Nigro e Carlo Castagna che si consideravano i depositari del vecchio credo mafioso e che appena usciti dal carcere rivendicavano l’antico comando.
D’altronde anche i trascorsi di questi personaggi fanno la differenza fra loro. Il primo, ex commerciante di scarpe incensurato, rimasto nell’ombra, che avrebbe tenuto un profilo così basso da far nascere addirittura il dubbio ai mafiosi degli altri mandamenti che fosse “incravattato”, che appartenesse cioè a Cosa Nostra.Lo Nigro e Castagna, invece, con un passato, amicizie e parentele nei vertici storici del mandamento.
Piazza Noce
Lo scontro sarebbe stato silenzioso ma aspro. Non ci sono state violenze ma prese di posizioni nette e chiare. “La squadra che c’è per ora è una squadra contraria a quella nostra” dice Carlo Castagna. E ancora più duro è Lo Nigro che giudica “cose inutili” gli avversari. Personaggi con i quali non vuole avere né legami né contatti perché “non sono capaci di fare niente”.
Nel mandamento la contrapposizione fra le due fazioni sarebbe stata così oscura e sottotraccia che Lo Nigro avrebbe infiltrato nel gruppo guidato dal Romagnolo un personaggio di spessore, Salvatore Chiovaro. Questi, che si considerava “un fratello” di Lo Nigro, gli riferiva tutto quello di cui veniva a conoscenza.
Ma come mai Giuseppe Romagnolo si trovava al vertice del mandamento? Chi lo avrebbe designato? Renzo Lo Nigro, dopo ampie e accurate indagini, arrivava alla conclusione che la decisione sarebbe stata presa dal riconosciuto e rispettato capomafia Raffaele Gangi poco prima della sua morte. E che sarebbe stato Pietro Tumminia, a capo del mandamento dopo l’arresto di Giancarlo Seidita e Guglielmo Ficarra, a trasmettere l’ordine agli aderenti al clan.
Nelle pagine dell’inchiesta lo scontro tra le due fazioni si evidenzia in almeno due casi. Il primo vede la figura di Mario Di Cristina mal tollerata dai vecchi boss, soprattutto per i suoi modi bruschi e violenti nella gestione del traffico di droga. Il secondo ha per protagonista Cosimo Semprecondio che chiede brutalmente il pizzo ad alcuni imprenditori imparentati con affiliati della fazione avversaria.
Il quartiere Noce
L’altro elemento che caratterizza quest’inchiesta è la diffusa introiezione della mafia nella coscienza degli abitanti di questa zona. Commercianti, piccoli imprenditori, residenti, formavano una pletora di richiedenti favori e permessi ai boss locali.
Una persona che vuole aprire una polleria per il figlio chiede rispettosamente “Non ne abbiamo problemi, giusto?”. Un’altra che vuole avviare una rivendita di macchine si premura di avvertire “Esposizione di macchine…almeno lo sai, giusto?”. Persino una lite tra genitori causata dai figli viene composta con una stretta di mano grazie all’intervento degli uomini del clan.
Lapidario il pensiero di una donna che vuole aprire una pizzeria “Siete le uniche persone che riescono a risolvere tutti i problemi. Mi dispiace ma è così”.
Conclude amaramente la Gip Claudia Rosini nella sua ordinanza “Ne esce l’immagine di una mafia cui si demanda il compito, in una società senza punti di riferimento statuali percepiti quali affidabili, di risolvere, velocemente e senza attivare procedure legali, le più svariate problematiche, in una prostrazione della dignità ed abdicazione al rispetto dei propri diritti davvero sconsolante ed indicativa di un preoccupante degrado sociale”.
Altra realtà emersa dalle intercettazioni è la concorrenza fra i clan per l’accaparramento dell’affare della movida nel centro storico. Quando Renzo Lo Nigro apprende che il locale che voleva aprire in via Maqueda è già stato “prenotato” dal nipote di un boss, si tira indietro, ottenendo però un risarcimento di duemila euro.
Giovanni Burgio
2.6.25
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