giovedì, giugno 12, 2025

Impronta nell’auto dei killer: riaperte le indagini sull’omicidio di Michele Reina

di SALVO PALAZZOLO

Michele Reina e Piersanti Mattarella

Nell’Archivio del giornale “L’Ora”, conservato alla biblioteca regionale di Palermo, c’è una foto emozionante, che risale a metà degli anni Settanta: ritrae Piersanti Mattarella, all’epoca assessore regionale al Bilancio, e Michele Reina, segretario provinciale del partito in cui erano impegnati entrambi, la Democrazia Cristiana. 

Lo scatto li riprende, uno accanto all’altro, mentre stanno cercando di far funzionare il microfono. Per parlare a un’intera città, per declamare le parole di una nuova politica. Ma qualche tempo dopo furono zittiti. Michele Reina fu ucciso il 9 marzo 1979, in via Principe di Paternò; Piersanti Mattarella, intanto diventato presidente della Regione, fu assassinato il 6 gennaio 1980, in via Libertà. Due omicidi eccellenti legati da uno strano destino: non conosciamo ancora i nomi dei sicari che spararono con delle calibro 38, le condanne sono arrivate solo per la cupola mafiosa, giudicata nello stesso processo istruito dal giudice Giovanni Falcone.


Cinque anni fa, la procura di Palermo aveva disposto delle nuove perizie sui bossoli dei due omicidi, cercando anche collegamenti con le armi utilizzate dai killer neri Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, sospettati e poi assolti per il delitto di via Libertà. Peraltro, dopo l’omicidio Reina, ma anche dopo l’omicidio Mattarella, erano pure arrivate delle rivendicazioni terroristiche ai centralini dell’Ansa. Ma erano depistaggi dei mafiosi. E, adesso, sappiamo per certo che le armi dei due delitti sono diverse. Ma la procura diretta da Maurizio de Lucia non si arrende. E dopo avere rilanciato le indagini sull’omicidio Mattarella è tornata a fare accertamenti anche sul delitto Reina. Al momento, incaricando la Dia di acquisire le foto e i video fatti la sera del 9 marzo 1979.
Così, adesso, i destini di Piersanti Mattarella e di Michele Reina tornano a intrecciarsi. Soprattutto perché nella fuga i killer avrebbero fatto lo stesso errore, lasciando un’impronta sullo sportello del guidatore. Domani, i bravissimi biologi del Gabinetto regionale di polizia scientifica proveranno ad estrarre il Dna dal frammento ritrovato all’epoca sulla Fiat 127 dei sicari di Piersanti Mattarella. L’altro frammento fu estrapolato dalla Fiat Ritmo celeste utilizzata dai killer di Reina, chissà se la procura disporrà lo stesso accertamento del caso Mattarella. Di sicuro, oggi, i progressi della scienza possono portarci davvero molto oltre, e farci tornare a sperare in un brandello di verità e giustizia. Ma una cosa è certa: la ricerca della verità non è solo compito di magistrati e poliziotti, e la storia di Michele Reina è davvero fra le più dimenticate. Probabilmente, perché la narrazione fatta fin qui è rimasta sempre a un livello molto superficiale. «Reina era uno degli uomini più fidati di Salvo Lima» , si continua a dire. È vero, ma non era solo quello, anzi probabilmente nell’ultimo periodo della sua vita non lo era più.
Due giorni dopo l’omicidio, un messaggio sembrò arrivare spavaldo. Si fece intervistare da “L’Ora” Vito Ciancimino. Dichiarò a Giacomo Galante: «Voltaire dice che dei vivi bisogna avere riguardo, dei morti si può dire tutta la verità» . Che è già un’introduzione chiarissima. «Reina e io avevamo lo stesso temperamento – la ripresa è da brividi – quello di dire in faccia alla gente le cose che pensiamo. Ma lui qualche volta esagerava. Anche se nessuno può non riconoscergli molta intelligenza, ma aveva titolo a prendere decisioni politiche fino a un certo punto. Le decisioni determinanti le prende direttamente uno solo, l’onorevole Lima» . Un altro grande cronista de “L’Ora”, Antonio Calabrò, ricordava invece «Reina, il politico appassionato che poche ore prima di morire aveva infiammato la platea del congresso provinciale del Partito Comunista parlando della necessità di un nuovo corso per la politica palermitana» . Chissà perché proprio quel giorno l’ammazzarono. Sono le altre impronte, quelle che portano ai mandanti. La cupola e chi altri?
Pure queste impronte, trovate all’epoca dai cronisti di Palermo, andrebbero analizzate nuovamente. Ma non in un’aula di giustizia, piuttosto nelle scuole, nelle università, magari nei giorni delle commemorazioni. Forse, quelle impronte sono la vera traccia per una nuova antimafia. Invece, come dice Fiammetta Borsellino, in televisione e nei convegni non si parla più di ricerca della verità.

La Repubblica Palermo, 11/6/2025

Nessun commento: