venerdì, giugno 20, 2025

“Immortali”, l’ultimo libro di Attilio Bolzoni: “La borghesia mafiosa comanda ancora”

Il giornalista e scrittore Attilio Bolzoni

L'intervista.
L'ultimo libro di Attilio Bolzoni dal titolo "Immortali" è un grido d'allarme: «La lotta alle mafie è tornata pericolosamente indietro, è tornata a prima di Falcone»

LAURA DISTEFANO

La borghesia mafiosa non lascia impronte digitali. Per fermarla e catturarla servono strumenti diversi da quelli di solito utilizzati per spedire in galera delinquenti e assassini. La mancanza di impronte però rischia di diventare un alibi. Un alibi che fa comodo a tutti, giornalisti compresi.

Bisogna quindi sgranare bene gli occhi e imparare a guardare oltre le carte di un fascicolo giudiziario. La verità non può essere delegata solo a chi indossa la toga. E chi ha la missione di informare, non può limitarsi al ruolo di scribacchino di comunicati e ordinanze. Il giornalista e scrittore Attilio Bolzoni è tornato in libreria con Immortali (edito da Fuoriscena). Un libro che non fa sconti a questa terra. Alla Sicilia. E soprattutto ai siciliani. Pupi e pupari.

Un'isola dove il borghese mafioso è riuscito a gestire il potere, facilitato da chi si è girato pericolosamente dall'altra parte. Si sono radicati sistemi di potere che hanno mortificato anche principi e ideali. Come l'antimafia che e stata ridotta a passerelle e coccarde da mostrare gonfiando il petto.

Da dove nasce l'idea di questo libro?

«Per raccontare che le mafie in Italia non sono soltanto quelle dei processi e delle indagini. Ci sono molte pigrizie degli apparati dello Stato ormai. E anche del giornalismo. Il racconto della cattura di Messina Denaro ne è stata la dimostrazione».

Cioè?

«Noi conosciamo le storie superflue su Messina Denaro, ma agli italiani interessa sapere perché questo signore è stato latitante per trent'anni e chi ha permesso una latitanza cosi lunga. Anche se bisogna dire che questo è stato il primo grande arresto di un capomafia nell'era dei social».

La mafia è davvero tornata come quella che c'era prima di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?

Rispondo raccontando un episodio. Negli anni ‘80 sono andato ad un convegno alla facoltà di giurisprudenza di Palermo. Un professore che poi diventò preside della facoltà, attaccò il maxiprocesso definendolo un obbrobrio. Nella stessa aula, dopo 40 anni, un altro professore, in questo caso una professoressa, ha definito un obbrobrio il maxiprocesso di Giovanni Falcone. lo sono convinto che, mentre tutti parlano di mafia 2.0 e 3.0, la mafia sia tornata mafia e si sia appropriata del suo Dna. La mafia anomala era quella dei Corleonesi. I Corleonesi però li hanno buttati via dopo che hanno fatto il lavoro sporco. Siamo tornati alla mafia tradizionale, all'aristocrazia mafiosa. La borghesia mafiosa».

Qual è il Dna della borghesia mafiosa?

«E una mafia eterea, impalpabile, mi-

steriosa, perché e legata al potere. I rapporti tra le classi pericolose e il potere sono uguali in tutto il mondo. La differenza è che in Italia le classi pericolose si chiamano mafie. E hanno l'ambizione di diventare classi dirigenti. Nel nostro Paese il mafioso criminale vuole diventare l'uomo in giacca e cravatta. La vera anomalia italiana è questa: la borghesia mafiosa».

È un po' quella mafia bianca che emerge dalla sentenza della giudice Luparello sul sistema Montante? Anche se in Cassazione è caduta l’associazione mafiosa. Un destino comune a molti processi. 

«La giudice Luparello parlava di mafia trasparente. E stata cosi trasparente che la Cassazione non l’ha vista. Là stessa cosa hanno fatto con mafia capitale. Il male è abolito per legge. Capisco la cancellazione dell’associazione per il caso Saguto. Là capisco non tecnicamente, ma per una ragione di altra natura. Se avessero riconosciuto l'esistenza di un'associazione per la Saguto avrebbe avuto sede al Palazzo di Giustizia di Palermo. Troppo per un Paese come l'Italia. Siamo una democrazia troppo giovane».

Nel capitolo dedicato al sistema politico siciliano parli dei capi tribù.

«Non entro nel merito delle condanne, delle assoluzioni e dei proscioglimenti. Ma un fatto è sicuro storicamente, alcuni personaggi hanno avuto dei rapporti di promiscuità con ambienti mafiosi. C'è una sola famiglia politica che ha in mano la Sicilia da trent'anni.

Ed è quella di Totò Cuffaro, Raffaele Lombardo e Salvatore Cardinale. Questi comandavano 30 anni fa e comandano ancora oggi».

Emerge una critica sul lavoro della Commissione nazionale antimafia sulle stragi. Perché?

«Una commissione d'inchiesta vera fa inchieste. Questa non sta facendo inchieste, ma è partita da una tesi. La tesi di mafia-appalti».

Al di là della commissione c'è un pool a Caltanissetta che sta lavorando sulle stragi. 

«lo da Caltanissetta voglio elementi nuovi e verità su chi ha fatto le stragi. Non mi interessa di Prestipino, Pignatone, Natoli. lo voglio frammenti di verità sulle stragi. Il dossier mafia-appalti è una pista che porta fuori pista».

La Sicilia, 7 giugno 2025

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