domenica, giugno 01, 2025

Don Cosimo Scordato: “Sì al suicidio assistito se non c’è altro da fare”


Parla il docente di teologia alla facoltà pontificia di Sicilia ed ex rettore della chiesa San Francesco Saverio all’Albergheria: “Quando la sofferenza è troppa non c’è niente di male ad assecondare la morte. Restare fermi sui principi significa ignorare le persone. Ci indigniamo per quei poveretti che chiedono di morire con dignità, ma restiamo zitti davanti alla guerra e a chi produce le armi per combattere”

L’intervista di IRENE CARMINA
Non ci vedo niente di male ad accelerare la morte quando è solo questione di giorni, cisi è sottoposti a tutte le cure possibili e si patiscono sofferenze atroci». Mentre la Conferenza episcopale siciliana alza un muro contro il disegno di legge sul suicidio assistito, padre Cosimo Scordato — teologo, ex rettore della chiesa di San Saverio all’Albergheria, — apre varchi.
Perché i vescovi siciliani sono tanto preoccupati dalla proposta di legge sul fine vita?


«In realtà non dicono nulla di nuovo. Ribadiscono l’importanza di strutture adeguate che accompagnino gli ammalati e le loro famiglie, potenziando le curepalliative che, anche se non possono guarire, sono in grado di alleviare le sofferenze. Ma se si resta fermi sui principi, si rischia di ignorare la concretezza delle vite».
Vite che, a volte, è insopportabile vivere. Al punto da volere la morte.
«Quando non c’è più niente da fare, quando tutte le cure sono state inutili, quando non hai più la forza di sopportare. Quando conti solo le ore, quando la malattia è incurabile, quando la sofferenza è troppa. Quando vorresti solo addormentarti serenamente tenendo per mano un tuo caro. In questi casi assecondare la morte, o accelerarla con un farmaco, se a chiederlo è l’ammalato, è solo una cosa buona».
Eppure la Chiesa non la pensa così.
«Credo che i vescovi queste storie le conoscano. Magari temono che si scivoli nel nichilismo».
Che effetto le fa tutto questo?
«Mi scandalizza molto di più un’altra cosa. Ci indigniamo per quei poveretti che chiedono di morire con dignità, ma restiamo zitti davanti alla guerra, che è un suicidio dell’umanità. E le armi? E chi le produce? E chi ci guadagna?
La chiesa deve scomunicare chi fa la guerra e chi la finanzia. Il suicidio assistito è dare la morte a qualcuno che la chiede, a determinate condizioni. La guerra è dare la morte a qualcuno che vuole vivere. A proposito, mipermetta una riflessione sul suicidio».
Prego.
«Assecondare la morte di chi è già giunto alla fine è una cosa.
Procurarsi la morte quando si ha la vita in mano e la si potrebbe spendere è un’altra cosa. Questo per me è il suicidio. Ed è un fallimento della società e della comunità ecclesiale. Perché significa che non siamo stati in grado di offrire delle motivazioni belle e vere per vivere la vita con gioia. E questo è terribile. Il suicidio si insinua spesso nella vita delle persone. Drogarsi, fumare, rifugiarsi nell’alcol: sono tutti lenti suicidi. Non va bene limitarsi a dire “La vita te l’ha data Dio e la devi rispettare e basta”. Non possiamo restare chiusi a riflettere sulla fine della vita, dobbiamo lavorare sul fine della vita».
Per la Chiesa la vita è “sacra” dalla nascita alla morte naturale.
Ma cosa accade quando la vita diventa una condanna?
«Non è sacra la vita: sono sacre lepersone. E ogni persona ha diritto a una vita dignitosa fino alla fine.
Quando quella vita è travolta da prove, farmaci, sofferenze indicibili, il rispetto non è continuare a curare a oltranza».
Anche papa Francesco, negli ultimi istanti di vita, si era espresso contro l’accanimento terapeutico.
«Il Catechismo lo riconosce.
Nessuno è obbligato a curarsi a ogni costo. A volte continuare a curarsi significa solo prolungare il disagio e la sofferenza, senza alcuna prospettiva di guarigione.
È bello lasciarsi morire in pace».
È stata da poco approvata all’Ars la norma che obbliga gli ospedali ad assumere medici non obiettori. Che ne pensa?
« L’aborto è un fallimento per tutti. Nessuno si mette mai dal punto di vista della vittima: il bambino. Dobbiamo essere capaci di offrire un’alternativa, dare delle soluzioni che non siano giudicanti: “ Se non ce la fai, ti aiutiamo noi, accudiamo noi il piccolo”. Perché una donna che interrompe la gravidanza resta ferita. Anche se riceve il perdono, spesso non riesce a perdonarsi da sola».
In fondo il punto resta sempre lo stesso: mettere al centro la persona.
«Esatto. Ogni volta che la persona sparisce dietro a inutili cure infinite o perde di vista il fine, abbiamo perso. Dovremmo incoraggiarci a vicenda, darci senso. Anche davanti alla morte».

la Repubblica Palermo, 31/5/2025

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