LIRIO ABBATE
I neofascisti hanno messo la bomba alla stazione di Bologna. L’hanno trasportata, piazzata, fatta esplodere. Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, Gilberto Cavallini, Paolo Bellini: cinque nomi, cinque sentenze. Tutti esecutori, tutti terroristi neri. E dietro di loro il burattinaio: Licio Gelli, capo della loggia P2, finanziatore e mandante. Non è più un’ipotesi. È una verità storica e giudiziaria. Ma è anche una verità che imbarazza. E che l’Italia di oggi, con un governo di destra post-missina, preferisce non vedere.
Sotto la coltre delle commemorazioni, la politica di governo svicola. Si parla genericamente di “stragismo”, si tace sulla parola “fascista”, come se 85 morti fossero ancora oggi una questione da smussare, una faccenda da relativizzare. Ma non ci sono margini di ambiguità. La strage del 2 agosto 1980 fu un attentato neofascista. Il “documento Bologna”, un pizzino sequestrato in tasca al venerabile Gelli,
rivela la contabilità dell’orrore: milioni di dollari sottratti al Banco Ambrosiano per finanziare la carneficina, comprando complicità negli apparati infedeli dello Stato. Questa non è una storia chiusa. È un presente che ritorna. La presidente della Commissione parlamentare antimafia, Chiara Colosimo, eletta con i voti di Fratelli d’Italia, compare in una fotografia in carcere, mano nella mano, con Luigi Ciavardini.Non un detenuto qualsiasi, ma uno degli esecutori della strage di Bologna. Non solo: è stato condannato anche per l’omicidio del giudice Mario Amato, che indagava sul terrorismo nero. La foto è autentica. E se anche non voleva essere “istituzionale”, come dice Colosimo, resta il simbolo di una familiarità pericolosa con chi quella bomba l’ha messa davvero. Colosimo, amica della premier Meloni, si è giustificata in più occasioni: «L’ho conosciuto per attività rieducative... non c’è condivisione, chiedo perdono se quella foto ha ferito». Nel contesto in cui Colosimo opera in Parlamento, quella stretta di mano pesa come un macigno. E pesa anche il contesto. Il governo Meloni preferisce dimenticare. Non dice quella parola: “fascista”. Non vuole disturbare l’equilibrio politico con la memoria della verità. Si vuol far digerire tutto, persino ambiguità che in altri tempi avrebbero suscitato dimissioni immediate.
La storia non si cancella con una nuova narrazione. Il 2 agosto 1980 ha una matrice. E chi governa ha il dovere di rompere il silenzio. Di dire i nomi. Di riconoscere i responsabili. Di prendere le distanze non solo a parole, ma con i fatti. Perché la memoria non è un atto di cortesia. È un atto di verità. E la verità è che quei carnefici furono fascisti. Chi oggi sta al potere ha un solo dovere: dirlo, senza infingimenti. Dirlo, ogni 2 agosto. Dirlo sempre.
Lirio Abbate
https://www.repubblica.it/commenti/2025/08/01/news/strage_di_bologna_matrice_fascismo-424764618/
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