
Daniele Billitteri
Splendido pezzo di Daniele Billitteri
Nel luglio del 1960 il MSI organizzò il suo congresso nazionale a Genova, città medaglia d'oro della Resistenza. Ci furono manifestazioni di protesta in tutta Italia alle quali la polizia del ministro Tambroni reagì armi in pugno. Ci furono cinque morti a Reggio Emilia ma anche quattro a Palermo. Quella che segue è la cronaca postuima di quel giorno, Buona lettura
di DANIELE BILLITTERI
Io era picciutteddu ma me lo ricordo. Quel giorno di 65 anni fa a Palermo c'era un caldo mortale. Una di quelle giornate di luglio piene di umito con una specie di cummogghio sopra una pignata che bolliva. E c'era uno sciopero a Palermo. Ma una poco neanche sapevano perché erano là. Fu che da poche simnanate era stato fatto un governo che il capo si chiamava Tambroni e aveva l'appoggio del partito dei fascisti che, per toccarci il culo a tutti, decisero che dovevano fare il congresso a Genova, città Medaglia d'Oro della Resistenza. I genovesi non se l'accollarono. E noi se l'accollarono nemmeno a Reggio Emilia. Tutti in menzo alla strata a protestare. E la polizia, che non era quella di ora con tutto che il ministro degli interni era un siciliano che si chiamava Scelba, non si risparmio: ci furono una poco di morti. Sette solo a Reggio Emilia. Tutti operai e contadini. Di cui la ggl disse a tutti:
sciopero! E sciopero fu in tutta Italia. Pure a Palermo. Ma da noi le cose non sono mai come appare. Nel 1960 a Palermo, se uno sciopero lo dovevano fare solo quelli che lavoravano sarebbe sembrata una domenica di ferragosto, altro che cortei. A Palermo c'era fame di lavoro, c'erano i curtigghi, la lordia, i surci che contendevano le scorce delle fave ai cristiani. All'inizio del bum economico in Italia, mentre tutti (quelli che potevano) accattavano le Seicento per andare ai bagni, qui la differenza era che se un picciriddu era ricco vuol dire che aveva le scarpe. Con quel gran caldo, la pignata tanto bollì che scoppio. Già alle otto di mattina le strate erano piene e tutti andarono tra il Massimo e il Politeama che allora erano le zone del centro dei ricchi prima che costruivano la via Lazio e il viale Trasburgo. Fu li che andarono i morti di fame come a volerci dare una timpulata a questa città buttana che batteva i marciapiedi con la scusa che ci poteva dare a mangiare solo così. Ma non era vero. Quanti delle migliaia di picciriddi che ci andarono andavano a scuola? Quasi nessuno? E se i picciriddi erano migliaia, le scarpe erano decine. Arrivarono senza sapere niente se non che la mattina aggiornava che loro non avevano niente e la sera scurava che loro avevano meno di niente e l'alba faceva paura perché il giorno dopo aggiornava coi funerali della speranza. Ma c'era caldo, un caldo schifoso con un vento di Libeccio che aveva stinnicchiato sopra la città una sorta di manta bagnata di acqua bollente. E i picciriddi gridavano: governo cornuto, abbiamo fame. Pane e lavoro, altro che fascisti e comunisti. Pane e lavoro. Questo volevano quei saettoni usciti da curtigghiu Ballone o dal curtigghio Cascino. E si infilavano a tutte parti come l'acito muriatico, come se volessero stuppare tutti i catusi di questa Matrigna che si sentiva già moderna, con le belle signore pittate che avevano passato l'invernata al Teatro Massimo per l'opera. E i mafiosi già cuntavano piccioli sopra piccioli e accattavano cemento e politica per costruire a minchia china senza fare fognature, luce, acqua, scuole. Niente. Solo palazzi. Ed era solo l'inizio. I picciriddi arrivarono vociando e se la presero, pronto accomodo, con la pensillina degli autobus davanti alla Stazione Centrale e ne fecero malaminnitta. Non si sa chi li guidava. Forse nessuno. Ma tutti sapevano dove andare, d'istinto. Al cuore dovevano arrivare. Al cuore dove si ripuliva il sangue dei ricchi. Quelli che spardavano la vita. Ora ce lo facciamo vedere noi. Piccoli ignoranti, senza cultura. Senza niente. Appunto. Davanti al Massimo gli sbirri misero mano a ferro. Avevano i moschetti all'antica e i Mab, Mitra Automatico Beretta. Altro che manganelli. Piombo, piombo e piombo a chi chiedeva pane. Altro che Tambroni. Pane volevano, quello dei forni profumati che fanno venire la fame solo a guardarli tra mafalde, pizziati, torcigliati e reginelle e savoiardi. Che c'entra la politica? Ma gli sbirri non fecero differenza e così morti di fame spararono ad altri morti di fame. Solo che i moschetti li avevano solo i primi e così morirono morti di fame da una parte sola. Francesco Vella, che veniva dal Villaggio Santa Rosalia, aveva 42 anni e faceva l'operaio. Uno ricco, in confronto, uno con la coscienza, militante dei sindacati, militante comunista. E mentre i picciriddi senza niente si levavano il testale lui morì non per averli aizzati ma per avere cercato di fermarli, di ragionare, di spiegare, di accarezzare, di afferrare per le spalle come si fa con un figlio che si rifiuta di capire. Morì così, sparato al petto, caduto in una delle stradine che sboccano davanti al teatro dei ricchi.E Rosa La Barbera che aveva 53 anni? Che ne sapeva lei della politica? Saggia donna palermitana appena intese scruscio si avvicinò per chiudere la finestra manco se ci parlava il cuore. Ma fu proprio al cuore che la raggiunse una pallottola vagante. I picciriddi lasciarono sul terreno Giuseppe Malleo che aveva solo 16 anni e Andrea Gangitano che ne aveva 14. Buttarono sangue senza sapere perché né per chi. Ma che altro avevano da buttare se non il sangue? Niente. Ci furono trentasei feriti da colpi di moschetto e di mitra. Finirono in questura a prendere legnate in 370 e 70 furono arrestati. Processo velocissimo, tutti condannati fino a quasi sette anni di galera secondo la ricostruzione che, dieci anni dopo, fece il giornalista Mauro de Mauro del giornale L'Ora. Quello che pochi mesi dopo fu fatto scomparire dalla mafia e non se ne seppe più niente. Dopo la strage la pelle della città si chiuse come quando scoppia un fruncolo e esce sangue e materia ma poi asciuca. Come se non fosse successo niente. I picciriddi se ne tornarono a casa e le matri ci spiegarono che dal governo uno deve aspettarsi solo guai me che è più forte. Tanto vale accordarsi e affollare le anticamere di una poco di pezzi di merda che spartivano una scarpa destra prima delle votazioni e una sinistra dopo che erano eletti. Oppure qualche pacco di pasta. Che ne sapevano Malleo e Gancitano che erano morti per niente? Ma Francesco Vella me lo immagino morto contento, convinto che la sua morte sarebbe servita ad aprire la testa a una poco di palermitani. Ma era il 1960 e ci voleva ancora un sacco di tempo. Io lo so. C'ero. C'era caldo quel giorno, un caldo assurdo.
Meglio di adesso che quando c'è questo caldo ce ne andiamo a mare ricordandoci di portare le costolette da arrostere al billino di Carini, o di prendere il motorino nuovo con la findomestic ai picciutteddi che non vogliono più pane e lavoro anche se hanno il primo ma non il secondo. Loro vogliono cambiare solo lo smartfon e calarsi uno spriz al pub. E io penso a Malleo e Gancitano e mi viene di piangere. La memoria dovrebbe essere come una canottiera che se dà fastidio uno se la leva. Ma non è così.
L’Ora, edizione straordinaria, 17 agosto 2025
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