mercoledì, agosto 13, 2025

Isola assetata, tra reti obsolete e malagestione degli invasi


Andrea D’Orazio

A dirlo, stavolta, non sono più solo gli agricoltori, ma i giudici contabili in un dossier di 224 pagine: ad assetare la Sicilia, oltre alla carenza di pioggia, è un mix di impianti obsoleti, ritardi negli interventi sulle dighe, deficit di programmazione e, soprattutto, inefficienza nell’amministrazione dei bacini idrografici, dovuta anche ai troppi rivoli in cui è suddiviso il controllo della risorsa, mentre il Dar, il Dipartimento regionale acqua e rifiuti che dovrebbe essere il cuore pulsante del sistema, risulta depotenziato per una mancanza di professionisti.

Invasi con il freno a mano 

È quanto emerge dall’indagine sulla gestione dell’emergenza siccità nell’Isola, stilata dalla Corte dei Conti e inviata alla Regione e a tutti gli enti competenti in materia per il contraddittorio da convocare entro settembre, con un lungo elenco di richieste di spiegazione, a cominciare proprio dalle dighe, in grado, sulla carta, di ospitare 1,1 miliardi di metri cubi d’acqua, ridotti invece a circa 757 milioni. Un gap dovuto principalmente all’insufficiente manutenzione, con conseguente, progressiva sedimentazione di fango e detriti nei laghi artificiali, tale da ridurne «drasticamente le capacità di accumulo», sebbene siano stati individuati interventi di sfangamento: «Un elenco che risulta, allo stato, inattuato». Ma a latitare sono pure collaudi tecnici e verifiche antisismiche, fondamentali per l’esercizio ordinario delle dighe, tanto che 20 dei 38 impianti attivi sono soggetti a limitazioni di riempimento da Roma, con annesso sversamento a mare dell’acqua quando si supera la quota massima, come accade puntualmente nel bacino di Trinità.

Tante teste, pochi fatti

Le criticità relative alla manutenzione, secondo i giudici contabili, sono riconducibili a diverse debolezze, prima fra tutte «una frammentazione delle competenze», ovvero, il controllo dell’acqua risulta «estremamente stratificato, con numerosi enti che gestiscono diverse parti del sistema (invasi, reti di adduzione, distribuzione)», una parcellizzazione che «impedisce un’azione coordinata ed efficace». La fragilità, però, risiede anche a monte, nel Dar, che ha evidenziato «la necessità di un rafforzamento delle dotazioni organiche e professionali, riconoscendo l’inadeguatezza strutturale nella gestione delle dighe». In alto mare pure i Consorzi di bonifica, che «riportano croniche difficoltà finanziarie e gravi carenze gestionali», tali da limitare la loro capacità di intervento, «con rilevantissime perdite nelle reti irrigue aggravate dall’assenza di pianificazione». Ma le bacchettate arrivano pure per Ati e Comuni, per la loro «debolezza d’azione, con scarsa conoscenza del sistema, carenza di personale specializzato, arretratezza gestionale ed elevata morosità».

Buco nero concessioni

Infine, come se non bastasse, la Corte rileva criticità nel regime concessorio, evidenziando che la gestione dei corpi idrici è maggiormente efficiente quando c’è un dualismo tra concedente e gestore, mentre nel caso di coincidenza dei soggetti si riscontrano maggiori problemi. Il guaio è che in Sicilia il Dar è contemporaneamente concedente e concessionario di 26 dighe, «con una percepita incompatibilità tra le caratteristiche di una struttura orientata anche a obiettivi economici e un organismo istituzionale rivolto al perseguimento dell’interesse collettivo». 

GdS, 13 agosto 2025

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