domenica, agosto 03, 2025

La Palestina è solo un sogno. Ma riconoscerla è un dovere


Gigi Riva

138 Paesi membri su 193, vale a

dire il 71,5 per cento, adottano la risoluzione 181 dell'Onu del 1947 che propone la creazione di due Stati


No al riconoscimento dello Stato di Palestina, continua a ripetere Giorgia Meloni, perché sarebbe «controproducente». Come se fosse stato producente non farlo sino a ora. La nostra presidente del Consiglio si accoda a Donald Trump, ovviamente a Benjamin Netanyahu, ma vede dietro di sé assottigliarsi il numero di coloro che si sono attestati sulla linea "Con Israele qualunque cosa succeda senza se e senza ma". Il genocidio in corso a Gaza, riconosciuto come tale anche dallo scrittore David Grossman, dopo aver smosso le coscienze dell'opinione pubblica mondiale ha svegliato anche le cancellerie. Emmanuel Macron senza indugi ha annunciato il riconoscimento all'assemblea generale delle Nazioni Unite di settembre, analogo percorso hanno avviato il Regno Unito, il Canada, il Portogallo, persino la Germania nonostante le cautele e il retaggio storico della Shoah. 

La risoluzione Onu

L'atto, bollato come inutile ai fini pratici, non lo deve essere poi tanto viste le reazioni furibonde del governo dello Stato ebraico, che parla di «regalo ad Hamas», quando le nazioni altro non fanno che recepire la risoluzione 181 adottata dall'Onu nel 1947, quella famosa sui due Stati. In totale a oggi 138 Paesi membri su 193, vale a dire il 71,5 per cento. Israele è nato sulle ceneri del genocidio subito dagli ebrei per volontà della comunità internazionale, per questo teme l'isolamento ora che nega quel solenne pronunciamento. Non solo Netanyahu, ma anche tutti i componenti del suo governo fanno a gara a chi più convintamente ripete il no alla nascita di uno stato arabo. Le alternative sarebbero solo due: o uno Stato binazionale, in cui ebrei e palestinesi vivrebbero insieme (sperabilmente con gli stessi diritti), o l'espulsione dei palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania in una sorta di riedizione rovesciata della storia di quasi duemila anni fa quando furono gli ebrei costretti alla diaspora dopo la distruzione del Secondo Tempio e la sconfitta subita dai Romani. Era il 70 dopo Cristo.

Questa seconda soluzione è largamente la più popolare oggi, nella classe dirigente d'Israele. Non bastassero le parole, sono i fatti, la realtà del terreno, a testimoniarlo. Nella Striscia, qualunque forma di vita normale è negata da ventidue mesi. Con un'iperbole forse eccessiva ma che rende l'idea, Gaza oggi è alta non più di un metro. Gran parte delle abitazioni sono rase al suolo, i due milioni di abitanti sono in stragrande maggioranza costretti in tende provvisorie, senza nessun servizio e fiaccati dai morsi della fame usata come arma di guerra. 

I morti hanno superato il numero di sessantamila, e si continua a essere uccisi nelle code per il pane e per gli aiuti umanitari. Perdurando la situazione, è abbastanza facile immaginare che si produrrà, in tempi anche brevi, quanto auspicato dal governo di Gerusalemme. Che i gazawi cioè, arrivati allo stremo delle forze, accetteranno di emigrare in qualunque luogo pur di sopravvivere. Una pulizia etnica totale per sgomberare definitivamente il problema e realizzare quel sogno messianico, proprio soprattutto del movimento dei coloni, per cui un solo popolo può abitare sul terra dal mare (Mediterraneo) al fiume (Giordano): il popolo ebraico. 

I coloni e Sharon

Perché il sogno sia rotondo, non basta Gaza. C'è bisogno anche della Cisgiordania che sempre più persone nello Stato ebraico chiamano con il nome biblico di Giudea e Samaria, tanto per evocare quale sia il riferimento. L'operazione in questo caso, arrivata o quasi a un punto irreversibile, è quella di creare le condizioni perché sia tecnicamente irrealizzabile uno Stato palestinese. I coloni, grazie alla moltiplicazione dei loro insediamenti collegati da un reticolo di strade vietate agli arabi, hanno raggiunto la ragguardevole cifra calcolata per difetto di settecentomila. Le loro azioni anche armate per rendere impossibile la convivenza si sono moltiplicate negli ultimi anni, grazie alla sensazione di totale impunità e alle protezioni di cui godono nei palazzi del potere perché il governo Netanyahu si regge sulla presenza indispensabile di due partiti razzisti che sono espressione del loro movimento.

Nel caso si arrivasse a un accordo sulla famosa formula dei due Stati, bisognerebbe che almeno quattrocentomila coloni lasciassero la terra illegalmente occupata (gli altri, quelli che abitano a ridosso della linea verde potrebbero restare con le compensazioni territoriali frutto di negoziato previste da qualunque piano di pace elaborato dagli accordi di Oslo in poi). Se si pensa che nel 2005 l'allora premier Ariel Sharon faticò non poco a spostare circa settemila coloni da Gaza, si ha la dimensione di quanto l'impresa sarebbe improba.

Dunque la soluzione dei due Stati sembra impraticabile. Ma allora perché invocarla, perché perseguirla?

Intanto perché è evidente che l'inerzia dei fatti porta verso un progressivo aggravarsi dei rapporti di forza politici, e qualunque mossa allontana anche le residue speranze di un accordo su una terra per due Stati. E poi perché perseverare diabolicamente nell'essere complici di un genocidio negherebbe l'essenza stessa dell'Occidente e dei suoi valori. Farebbe perdere quel minimo di credibilità di cui ancora gode, finirebbe per dare ragione a chi sostiene il doppiopesismo del mondo ricco che ha una morale diversa per gli amici e per i nemici. E così difendere "l'amico" Netanyahu nonostante abbia varcato qualunque linea rossa, arrivando alla crudeltà dell'uso persino della fame per raggiungere i propri scopi. Verrà un giorno in cui i figli, o i figli dei figli, chiederanno ai padri e ai nonni dove fossero mentre lo scempio si consumava, perché avessero voltato lo sguardo diventando complici del massacro per passività. 

Hamas e il 7 ottobre

Sarà difficile allora spiegare che prima c'era stato il 7 ottobre del 2023, certo un orrore, un grumo di Olocausto da esecrare senza indugi, e tuttavia insufficiente per giustificare questo dopo senza fine, questo Stato che ammazza, come fossero semplici danni collaterali, donne, vecchi e bambini, come se fossero tutti grigi i gazawi nella notte della ragione, tutti terroristi di Hamas dai neonati agli ottuagenari. E non andrebbe nemmeno dimenticato che i diavoli di Hamas sono nati alla fine degli anni Ottanta grazie ai finanziamenti dello Stato ebraico che aveva intenzione di dividere gli avversari creando un nemico interno ai laici di Fatah, cioè di Yasser Arafat, considerato allora assai più pericoloso.

Emmanuel Macron ha rotto gli indugi dunque, indicando una strada. Giorgia Meloni non lo segue per fedeltà sovranista degna di migliore causa. Rischiando l'isolamento all'interno di un'Europa finalmente non sonnambula. E finendo, senza un'immediata correzione di rotta, sul rigo sbagliato del libro della storia. Non basta dire a Netanyahu che a Gaza c'è una situazione «insostenibile e ingiustificabile». Questo è il tempo di agire, con tutti i mezzi che si hanno a disposizione. Altrimenti sarebbe avvalorare il principio che non vale ciò che è giusto, ma solo ciò che è forza bruta.

Domani.it, 3 agosto 2025

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