
Dall’alto: Pippo Baudo, Daniele Billitteri
di Daniele Billitteri
Io sono cresciuto con Pippo Baudo. Quando lanciò il suo primo programma televisivo, Settevoci, era il 1966 e io avevo 15 anni, quasi sessant’anni fa: una vita. Non mi aggiungerò a quelli che racconteranno per filo e per segno la sua carriera lunghissima e prestigiosa, i 13 Festival di Sanremo che ha presentato (e spesso organizzato), i tanti programmi che ha lanciato, i talenti che ha scoperto, da Beppe Grillo a Bocelli, dalla Pausini a Elio e le Storie Tese, da Al Bano a tantissimi altri. E’ una bella fetta del mondo dello spettacolo italiano quella che gli deve qualcosa e gli ha voluto bene.
L’alta cultura ha adattato a lui la definizione gramsciana di “nazional-popolare” e non si è mai veramente capito se fosse un giudizio da “serie B” o un complimento. Io credo che Pippo a Gramsci sarebbe piaciuto un sacco. Anche se era democristiano. Perché nella cultura nazional-popolare c’è un talento che spesso, magari, è a scoppio ritardato. Ma alla lunga arriva. Penso ai guanti gialli della critica cinematografica sui film di Totò, con giudizi quasi sorpresi quando Pasolini lo scelse per Uccellacci e Uccellini.
Così Pippo Baudo da Militello Val di Catania ci ha fatto compagnia per sessant’anni e quasi non ce ne siamo accorti. Se n’è stato sempre lì, sull’orizzonte degli eventi, quotidiano come il sole, presente come l’aria che quando respiriamo non è che uno sta a pensare che sta usando l’aria, no?
Lui era così: talentuoso, versatile a condurre, a comporre canzoni, anche quelle nazional popolari, a scrivere testi e palinsesti. Aveva il fiuto del pasticciere che sa fare le ciambelle tutte col buco. Che uno non è che ci pensa quando se le mangia, no?
Insomma Pippo è stato vivo e ha lottato insieme a noi. Non perché fosse un rivoluzionario e nemmeno un progressista. No, lui era sempre a metà, un po’ così e un po’ colì, né schiaffi né carezze ma solo pacche sulle spalle. Mai volgare, mai violento, mai polemico. Per questo ha lottato insieme a noi nel senso che ha fatto parte della nostra quotidianità, quella fatta anche (e certe volte soprattutto) di difficoltà e di sofferenza.
Non ce ne accorgevamo sempre, ma se avessimo prestato attenzione, lo avremmo trovato da qualche parte vicino a noi, col suo metro e ottantacinque di siciliano “sbagliato”, le sue gambe da fenicottero, il suo sorriso mai sguaiato e garantito. Fate mai caso al ticchettio dell’orologio? No, vi basta guardare l’ora. Pippo è stato la lancetta dei secondi, quella che non si guarda mai ma fa il lavoro di base. E visto che l’uomo era anche musicista, pensiamolo come il metronomo d’Italia perché il suo tempo musicale ha battuto inesorabilmente con il tempo del Paese.
Suo padre era avvocato e pure lui dovette pagare questo dazio familiare laureandosi in giurisprudenza. Ma non era cosa sua nel senso che se ne inventò un’altra per stare dalla parte nostra. Ed è diventato come uno che c’è sempre, che non ti accorgi che c’è ma neanche che non c’è. Ecco perché il nostro Pippo, in realtà, è vivo e lotta insieme a noi.
Daniele Billitteri
L’Ora, edizione straordinaria, 16 agosto 2025
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