mercoledì, agosto 27, 2025

Migranti, l’inutile eccesso di dolore


di LUIGI MANCONI
Fate attenzione a questo gerundio: “disattendendo”. Il verboè parte di un mirabile esemplare di letteratura burocratica per adulti, utilizzata per sanzionare una organizzazione non governativa per il soccorso in mare. Il testo completo suona così: la nave Mediterranea della ong Mediterranea Saving Humans è stata sottoposta a fermo amministrativo per aver fatto sbarcare dieci migranti nel porto di Trapani, disattendendo le disposizioni delle autorità italiane che imponevano come porto di sbarco quello di Genova.
Infatti, in base al Codice di condotta per le ong, approvato dal governo Meloni alla fine del 2022, le navi di soccorso si devono dirigere obbligatoriamente verso il porto assegnato loro. Per aver violato tale regola, alla nave Mediterranea sarà impedito — per un periodo ancora da stabilire — di lasciare Trapani e di continuare la propria attività di soccorso. Sembrerebbe un modesto conflitto tra un settore dell’amministrazione pubblica, quella del ministero dell’Interno, e un soggetto indipendente, ma sullo sfondo si intravede un dilemma etico di grande portata.
La ong si è trovata di fronte a una alternativa tutt’altro che semplice: completare la propria missione oppure ubbidire a un provvedimento appunto amministrativo e regolatorio (definito dai giuristi “subprimario”) che è cosa diversa dalla legge e non ne ha l’autorità e la forza, pur prevedendo misure vincolanti. La nave si trovava vicino a Pantelleria e da lì avrebbe dovuto affrontare, per raggiungere Genova, una navigazione di 600 miglia della durata prevedibile di tre giorni e tre notti. Dunque, un carico di sofferenza aggiuntiva per persone venute “dalla fine del mondo” e che già avevano conosciuto inenarrabili patimenti. E, allora, perché questo inutile scialo di dolore?
Ancora più ingiuriosa risulta la tipologia di sanzione adottata: alla nave Mediterranea viene impedito di continuare nell’attività di salvataggio di vite umane. Qui sta il punto cruciale dell’intera vicenda. A dieci anni dall’inizio della attività di soccorso in mare, le navi delle ong subiscono una potente pressione istituzionale e mediatica che mira a ostacolarne l’azione e limitarne sempre più l’ambito di intervento. Vale la pena ricordare che, nel corso di questo tormentato decennio, e nonostante una offensiva giudiziaria degna di miglior causa, non una sola organizzazione e non un suo solo membro sono stati condannati, nemmeno in primo grado, per reati legati alle attività di soccorso. C’è stato un unico rinvio a giudizio per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e uno per reati ambientali, e nulla più. Eppure, a partire da dicembre 2023, le ong operanti in mare sono state colpite da 31 fermi amministrativi per un totale di oltre 700 giorni di inattività forzata, cui si devono aggiungere più di 800 giorni di navigazione verso porti assegnati a distanze non proporzionate. E, ieri, un nuovo provvedimento di fermo ha colpito la Trotamar III della Compass Collective, che il 24 agosto ha portato in salvo 22 migranti «senza aver informato la Guardia costiera libica» (sì, si legge proprio così).
Per converso quelle stesse ong hanno salvato migliaia e migliaia di vite. Come spiegarsi, allora, tanta ostilità da parte del governo e delle destre politico-mediatiche? L’ipotesi più plausibile è che, di fronte al totale fallimento del programma migratorio del governo, si cerchi un diversivo. In assenza di qualcosa di meglio, l’intera propaganda el’intera attività normativa si sono concentrate sulla Operazione Albania, ma questa si è già rivelata un ferrovecchio. Incrinata nei suoi fondamenti giuridici da tutta la giurisprudenza nazionale e sovranazionale e costantemente modificata nelle sue finalità, l’Operazione Albania si è tradotta in una macchina mangiasoldi e un investimento a perdere (in mezzi e risorse e, tanto più, in immagine). Una sorta di Cassa del Mezzogiorno ideologica, destinata ad alimentare fobie e paranoie, mitologie securitarie e meccanismi di sublimazione delleansie collettive. Nel frattempo gli sbarchi sono aumentati, e non poteva essere altrimenti. Sarebbe sciocco affermare che “è tutta colpa del governo Meloni”, ma è indubbio che si stia dimostrando la futilità degli impegni e dei provvedimenti dell’esecutivo, dal momento che nulla è stato fatto per favorire flussi migratori legali e sicuri; e che la “politica mediterranea” e quella “africana”, promesse dal governo, si siano rivelate finora niente più che aria fritta. Rispetto all’anno precedente, il 2025 ha contato meno morti in mare ed è, per tutti, un sollievo. Resta il fatto che, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) dal 2014 a oggi nel Mediterraneo i morti e i dispersi ammontano a 32.519.
Dunque, prima di esprimere soddisfazione, la premier — ma anche ciascuno di noi — dovrebbe meditare sulle parole di Dylan Thomas: «Dopo la prima morte, non ce n’è un’altra». È una potente lezione filosofica: quando si dice che “le vittime non si contano” non si intende solo che siano un numero incalcolabile — nel mare Mediterraneo, a Gaza, nei diversi teatri di guerra — ma anche qualcosa di più profondo, ovvero che l’abisso dell’ingiustizia e del dolore è tale non in ragione del numero dei morti che contiene, ma per l’orrore irreparabile, e al quale null’altro può essere aggiunto, che quelle morti determina.

la Repubblica, 27 agosto 2025

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