mercoledì, agosto 06, 2025

OOGGI L’ANNIVERSARIO DEL DELITTO MAFIOSO. COMINCIÒ CON COSTA L’ATTACCO AL POTERE FINANZIARIO DELLA MAFIA


Gaetano Costa

Il magistrato venne ucciso in via Cavour il 6 agosto del 1980, dopo aver dato il via ai mandati di cattura contro la cosca Spatola-Inzerillo, cosa che altri suoi colleghi si rifiutarono di fare. Un delitto eccellente rimasto senza colpevoli. Mattarella: "Fondamentali le sue indagini sulle infiltrazioni dei mafiosi nel sistema socioeconomico"


di FRANCO NICASTRO 

Con grandi difficoltà e tante resistenze politiche l’attacco al potere finanziario della mafia si è spinto avanti con sequestri, confische e conti congelati. Lo Stato ha potuto mettere le mani su ingenti patrimoni, anche se non si può dire che Cosa nostra sia stata liquidata. Ma da dove era partito questo corso dell’antimafia? Più che una data bisogna richiamare una stagione. È quella che tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta ha portato al palazzo di giustizia di Palermo un cambio di passo nelle strategie investigative. Il principio cardine che due magistrati – Gaetano Costa e Rocco Chinnici – posero alla base del loro lavoro era quello del flusso di denaro.

Seguire il tracciato dei soldi per risalire ai traffici che li muovono. A quel tempo non era una pratica molto sperimentata: mancavano le intuizioni ma soprattutto le competenze. E chi, come Boris Giuliano, cominciava ad arricchirle di conoscenze, scambi e relazioni internazionali era stato subito fatto fuori. Giorgio Ambrosoli, liquidatore di una banca di Michele Sindona, era stato ucciso dieci giorni prima a Milano. Anche lui stava cercando di portare la sua ricerca nei labirinti finanziari, nei bilanci, nelle complicate operazioni contabili e nei segreti dei numeri che appaiono e scompaiono. 

Le inchieste su questo magma di illegalità, il cui modello è stato descritto in un famoso libro di Corrado Stajano (“Un eroe borghese”) dedicato proprio ad Ambrosoli, non avevano ancora uno sguardo largo e non si spingevano oltre l’angusto perimetro dei fatti. La finanziaria della mafia restava così una fortezza inesplorata. E difesa con efferata determinazione. Chi tocca i fili muore, si dice. E quei fili erano più pericolosi dei cavi dell’alta tensione. 

Con Costa tutto era cambiato. Tra i cronisti si era compreso subito che si stava alzando il tiro. “Puntava in alto” titolò L’Ora dopo l’agguato al procuratore. Nella sua agenda erano finite le banche, soprattutto gli istituti di credito minori che in quegli anni – lo aveva segnalato anche un convegno di Magistratura democratica – avevano conosciuto un incredibile boom: tra il 1975 e il 1980 c’era stato un incremento di sportelli del 400 per cento. Ma quelle piccole banche erano anche finite al centro della cronaca. Il direttore della filiale di un istituto minore era stato ucciso, un altro era stato arrestato per associazione a delinquere.

Quanto fosse importante gettare l’occhio nei conti in banca lo dimostrava il caso del boss Giuseppe Di Cristina. Un assegno che teneva in tasca, recuperato dopo la sua uccisione, aveva fatto scoprire una connection della droga tra Palermo, Napoli e New York e un giro di affari di dimensioni insospettabili. In un altro processo, quello conosciuto come “Pizza connection”, aveva rivelato Giovanni Falcone in un seminario per giovani avvocati e magistrati, era stato accertato un volume di transazioni pari a 650 milioni di dollari. “Numeri da capogiro”, aveva commentato.

Costa aveva colto perfettamente la dimensione del giro e il ruolo delle banche tanto che, poco prima di essere eliminato, aveva chiesto alla Banca d’Italia di esercitare il suo potere di vigilanza per capire come mai transazioni finanziarie di grandi importi non accendessero mai campanelli di allarme. Oggi è una procedura che si mette in moto quasi automaticamente ma perché la innesca un nuovo e più affinato quadro normativo che ora si sta cercando di demolire.

Intanto Cosa nostra ha cambiato pelle e metodi. Le operazioni di occultamento e di riciclaggio si sono evolute aprendo la strada a un’evoluzione dell’associazione da organizzazione criminale a soggetto imprenditoriale. E così ha portato nella finanza e nell’economia legale (il caso di Matteo Messina Denaro è emblematico) non solo i proventi dei suoi traffici ma anche i suoi nuovi sistemi criminali. La fiction, che sempre trova ispirazione nella realtà, ha descritto questi processi anche con una suggestiva rappresentazione. È cambiata anche la natura del rapporto tra la mafia e lo Stato. Ora alla “coabitazione”, su cui la Commissione antimafia aveva negli anni posato la sua attenzione, la mafia ha sostituito il metodo dell’inquinamento, della corruzione e del malaffare. È la strada che le consente di esercitare un potere di condizionamento nella gestione della spesa pubblica sfruttando le opportunità offerte dai grandi processi innescati dall’economia globale. Oggi l’impresa mafiosa esprime una grande capacità di accumulazione di risorse muovendosi sapientemente tra l’arricchimento violento e lo sfruttamento dei mercati. E in più lega la sua forza a un reticolo di relazioni con la pubblica amministrazione. Non tutto è mafia, si capisce, ma in questi scenari Cosa nostra c’è e ci guazza.

Siamo di fronte ora a una mafia che ha caratteri, regole operative, forza criminale, metodi molto diversi e più sofisticati della mafia di alcuni decenni fa. E dietro lo schermo di una apparente ricercata esibita “normalità” riesce a estendere il campo dell’illegalità rendendola ancora più capillare. Costa puntava sulle banche perché aveva colto quei cambiamenti che oggi ci consegnano l’immagine di una mafia molto diversa da quella di Totò Riina e Bernardo Provenzano. La sfida allo Stato, l’eliminazione sistematica di politici, magistrati, poliziotti, giornalisti appartengono a una strategia criminale lontana da quella che oggi uccide di meno o non uccide affatto per non disturbare i grandi affari. “In questo campo – è la lettura condivisibile proposta da Antonino Blando e Paola Maggio nel libro Terrorismo e mafia – si è registrato l’impulso fondamentale di alcune figure di investigatori e magistrati che, dialogando costantemente, hanno veicolato tecniche di investigazione e di accertamento, hanno condizionato il dibattito pubblico e hanno orientato la risposta politico-legislativa ai due fenomeni in tema di pentimento, gestione processuale della collaborazione, premio ai delatori”. Tutto questo, a partire dal ricorso alle ricerche nei forzieri finanziari, ha cambiato l’interpretazione della lotta alla mafia. Non più indagini concentrate sulle dinamiche fra gruppi per il controllo dell’associazione e dei suoi interessi ma indagini bancarie e patrimoniali portate nel cuore del potere economico della mafia. 

Ci sono voluti alcuni decenni perché il concetto che muoveva le mosse di Costa venisse validato dalle nuove tecniche investigative ma soprattutto dalle politiche e dalla legislazione antimafia che ora si cerca di riportare indietro, annacquare e sterilizzare.

L’Ora, edizione straordinaria, 6 agosto 2025

Nessun commento: