GIUSEPPE SAVAGNONE
invito che è una richiesta
Scarsa eco hanno avuto, sui mezzi di comunicazione e nell’opinione pubblica- assorbiti dal “tormentone” della crisi di governo – le parole di papa Francesco, il 30 gennaio scorso, ai partecipanti all’Incontro promosso dall’Ufficio catechistico nazionale della Conferenza episcopale italiana: «Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi». In realtà, più che un invito, quella del papa sembra una precisa richiesta, rivolta alla Chiesa italiana in un momento in cui essa appare tramortita non solo dal Covid, ma dalla difficoltà di trovare forme di inserimento efficaci nella crisi culturale, sociale e politica della nostra società. E, in effetti, c’è un nesso profondo tra il richiamo del pontefice e questa crisi, di cui la pandemia ha solo evidenziato – non determinato – la gravità.
Uno scenario di frammentazione e di
violenza
Siamo
davanti allo scenario di un Paese che ha visto progressivamente dissolversi i
legami di amicizia sociale e di solidarietà, ben prima che per la
preoccupazione del contagio, per il dilagare di stati d’animo incontrollati di
rabbia, di paura e di odio, peraltro alimentati e strumentalizzati dalle forze
politiche, che li orientano cinicamente per i loro scopi.
Rispecchia
perfettamente la situazione italiana il quadro tracciato da papa Francesco
nella sua ultima enciclica: «Oggi in molti Paesi si utilizza il meccanismo
politico di esasperare, esacerbare e polarizzare. Con varie modalità si nega ad
altri il diritto di esistere e di pensare, e a tale scopo si ricorre alla
strategia di ridicolizzarli, di insinuare sospetti su di loro, di accerchiarli.
Non si accoglie la loro parte di verità, i loro valori, e in questo modo la
società si impoverisce e si riduce alla prepotenza del più forte. La politica
così non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo
di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere
di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più
efficace. In questo gioco meschino delle squalificazioni, il dibattito viene
manipolato per mantenerlo allo stato di controversia e contrapposizione» (Fratelli
tutti, n.15).
Crisi sulle teste dei cittadini…
Si capisce,
perciò, perché, malgrado la sbandierata pretesa del populismo di dar vita a
forme più dirette di coinvolgimento della gente nella gestione della cosa
pubblica, da alcuni anni nel nostro Paese siamo testimoni attoniti di
improvvise crisi di governo che si verificano senza che i cittadini possano
neppure capirne le ragioni e che si svolgono sulle loro teste, oltre che sulla
loro pelle.
… Costretti, ogni volta, ad
aspettare un “messia”
Si capisce
anche perché, invece di poter contare sull’impegno solidale delle diverse
componenti partitiche, il Paese sia costretto a sperare nella sospensione delle
logiche dei partiti e nell’avvento di un deus ex machina che
dall’alto scenda a salvarli dal caos che quelli hanno determinato. E buon per
noi che ci siano un presidente della Repubblica come Mattarella, in grado di
evocare questo prodigio, e una persona seria come Draghi, degno sicuramente di
incarnare correttamente questo ruolo quasi messianico.
Ma resta il
quadro disastroso entro cui queste figure dignitose sono costrette a operare e
che neppure loro possono cambiare alla radice.
L’idea del Sinodo e il rapporto tra
cattolici e politica
Ebbene, non
è un caso che proprio in questo contesto papa Francesco chiami i cattolici
italiani a celebrare un Sinodo. Lo aveva già fatto, implicitamente, nel
discorso tenuto al convegno delle Chiese d’Italia, a Firenze, nel 2015, quando,
dopo aver osservato che «le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide
nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere», aveva
detto ai convenuti: «Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme».
L’appello
era però rimasto senza risposta. A riprenderlo era stato un uomo molto vicino
al pontefice, il gesuita Antonio Spadaro, direttore della Civiltà
Cattolica, in un articolo del febbraio del 2019 e proprio in rapporto ai
problemi della società italiana.
La domanda
da cui partiva padre Spadaro era: «Come possono i cristiani contribuire a una
sana democrazia e a un governo veramente popolare della nostra Italia?» Perché,
sottolineava l’autore, citando le parole di papa Francesco al Convegno di
Firenze, «i credenti sono cittadini».
I nemici del cristianesimo e della
democrazia
Ora, secondo
l’articolo, ad essere in gioco non è solo la politica, ma anche la proposta
religiosa della Chiesa, perché i nemici della democrazia sono gli stessi che
stanno sempre più allontanando il popolo italiano dalla sua tradizione
cattolica: «La paura, l’ostilità, il sentirsi minacciati, la frattura dei
legami sociali e la perdita del senso di fratellanza umana e di solidarietà.
Nella società sta venendo meno la fiducia: nei medici, negli insegnanti, nei
politici, negli intellettuali, nei giornalisti, negli uomini del sacro…».
Il discorso di Mattarella
Padre
Spadaro concludeva riferendosi al discorso di fine anno 2018 del presidente
Mattarella: «Possiamo riconoscere il nostro compito oggi come discepoli di
Cristo impegnati nelle tensioni della nostra moderna democrazia in due punti
evidenziati dal Presidente: da una parte, contrastare le “tendenze alla regressione
della storia”; dall’altra, fare la nostra parte per costruire il Paese come
“comunità di vita”, curando le ferite dei legami spezzati e della fiducia
tradita. E questo potrà avvenire solamente grazie a un largo coinvolgimento del
popolo di Dio, in un processo sinodale non ristretto né alle élites del
pensiero cattolico né ai contesti (specifici e importanti) di formazione».
Il Sinodo come “cammino comune”
Nella
tradizione cristiana, infatti, il concetto di «Sinodo» – che significa “cammino
comune”– comporta che persone della più diversa estrazione – laici e
presbiteri, pastori e fedeli, uomini e donne, intellettuali persone di scarsa
istruzione – si riuniscano, in un clima di fraternità, per mettere a confronto
i loro differenti punti di vista e le loro differenti esperienze, in vista di
una visione “sinfonica” dei problemi e delle possibili soluzioni. Dove ciò che
conta non è solo l’esito di questo processo, ma lo stesso processo che la
sinodalità implica.
Un silenzio inquietante
In realtà di
questo stile sinodale nelle nostre Chiese c’è ancora scarsa traccia. E questo
spiega probabilmente perché l’invito rivolto allora dal pontefice sia caduto
nel vuoto – anche dopo l’articolo di Spadaro e dopo esser stato ripreso dallo
stesso Francesco, in un discorso all’Assemblea della CEI, nel maggio 2019 –,
con la sola eccezione di qualche vescovo, come quello di Rieti, Domenico
Pompili, quello di Palermo, Corrado Lorefice, e quello di Modena, Erio
Castellucci.
C’è da
temere che questo silenzio inquietante sia dovuto a una carenza di creatività e
di entusiasmo dei cattolici italiani, che rende problematica la prospettiva di
un’avventura innovatrice come sarebbe quella sinodale che spiega, tra l’altro,
la loro difficoltà attuale di avere un ruolo incisivo nella crisi della
politica e della società italiane.
Proprio per
questo, però, il papa chiede il Sinodo, nella convinzione che esso
costringerebbe i cattolici a un rinnovamento da cui deriverebbe anche una ben
più dinamica e creativa presenza nella città terrena. Era l’ipotesi avanzata da
Antonio Spadaro: «L’esercizio della sinodalità e quello della democrazia sono
cose diverse come metodo. Ma si può facilmente cogliere quanto sia importante
la sinodalità nella Chiesa per discernere le forme dell’impegno democratico dei
cristiani affinché essi siano – come ci chiedeva Francesco alla fine
del suo discorso di Firenze – “costruttori dell’Italia”».
La città terrena può ancora contare
sulle risorse spirituali dei cattolici?
Ora il papa
ritorna, con tutta la sua autorità, sulla proposta di un Sinodo, ignorata in
questi cinque anni (una sola perplessità: perché non parlarne direttamente, in
privato, col presidente della CEI?). Non è facile prevedere se avrà la meglio
la sua volontà di cambiare le cose o la forza d’inerzia che sembra dominare il
clima ecclesiale del nostro Paese.
In realtà un
Sinodo dei cattolici italiani sarebbe un’occasione di rinnovamento delle
comunità cristiane che andrebbe molto al di là delle sue ricadute sulla crisi
sociale e politica del nostro Paese. Ma, in quanto quest’ultima ne rivela una
spirituale più profonda e mette in discussione aspetti decisivi del messaggio
cristiano, come la fraternità, il collegamento tra il futuro della Chiesa e
quello della democrazia non è peregrino.
In un
recente passato la vitalità del mondo cattolico ha costituito per la politica
un riserva spirituale ed etica fondamentale. Si pensi ad uomini come De
Gasperi, La Pira, Dossetti e al ruolo svolto dall’associazionismo cattolico per
formare i quadri della Democrazia cristiana nel dopoguerra. La domanda è se la
città terrena può ancora sperare di fruire delle risorse spirituali della
comunità cristiana. La risposta
dipende da noi.
https://www.tuttavia.eu/2021/02/05/i-chiaroscuri-sinodo-democrazia/
febbraio 5,
2021
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