venerdì, febbraio 12, 2021

Charlotte Matteini: "Non sono sbagliata, sono diversa"

L'articolo sulla rivista F di Linda Marino

Pubblichiamo questo interessante articolo di Linda Marino, pubblicato sulla rivista "F", sul percorso di una raagzza alla ricerca di se stessa, che si accorge di essere autistica: non sbagliata, ma diversa

LINDA MARINO

Charlotte Matteini, 33 anni, vive a Milano con il fidanzato. Giornalista, lavora in un ufficio stampa nell’ambito televisivo. Lo scorso dicembre ha scoperto di essere affetta dalla sindrome di Asperger.
Ho in mano la relazione clinica che mi è stata appena consegnata dalla neuropsichiatra che mi segue da alcune settimane. Su una manciata di fogli, nero su bianco, c’è scritto che sono autistica, ho la sindrome di Asperger. Li leggo e li rileggo fino a consumarli e, tutto d’un tratto, quel puzzle confuso che per anni avevo cercato di assemblare inizia a prendere forma. Mi passa tutta la vita davanti e, finalmente, le mie ansie incontrollabili, la mia incapacità di relazionarmi agli altri, il mio essere chiusa e riservata, assumono una loro identità. La diagnosi non è una condanna, anzi, porta la luce nella mia grigia esistenza. Non sono sbagliata, mi ripeto come un mantra, solo diversa, e la diversità può essere ricchezza. 

 

La mondanità non fa per me

 

Non ho un carattere da compagnona, ho sempre schivato come la peste cene, feste, comitive, baci e abbracci. Nonostante ciò, mi sono sempre fatta in quattro per adeguarmi a quella società che corre veloce e ci impone di essere accomodanti con tutti. Sin da bambina, non ho mai avuto un amico, stavo molto bene con me stessa, ero sola e cercavo di imitare i comportamenti degli altri, ma i risultati erano goffi: io non potevo essere come gli altri, ma questo ancora non lo sapevo. Per 32 anni, ho recitato per farmi accettare. Era uno sforzo immane, che mi faceva stare troppo male. Malissimo. Fino al punto di non ritorno. O meglio, fino a quando ho capito che non avrei più potuto convivere con quella lancinante sensazione di sofferenza. Dovevo fare qualcosa.

Questo mio essere introverso si acuisce nel 2018, dopo la malattia e la morte di mio padre, che adoravo. Nonostante il forte legame che ci univa, anche nei suoi confronti non sono mai riuscita a lasciarmi andare. Mai un abbraccio né una carezza, ma questo per lui, più introverso di me, non era un problema. Lo era invece per mia madre, donna solare che ha sofferto per il mio carattere schivo. 

 

 

Inizio a vivisezionarmi

 

Il mio viaggio verso la scoperta della verità inizia il 21 febbraio dello scorso anno. Sono in ufficio, ho una discussione al telefono con una persona, un diverbio nato da una banale incomprensione, ma io ho una reazione esagerata. Chiusa la telefonata, scoppio in un pianto incontrollabile, davanti ai miei colleghi, che tra l’altro mi conoscono da poco, essendo una neoassunta. Piango e singhiozzo quasi a soffocarmi. A quel punto, capisco che dentro di me c’è qualcosa su cui indagare. I mesi di lockdown mi aiutano molto perché mi regalano quel tempo a disposizione che mi era sempre mancato per studiare ogni più piccola parte di me stessa. Non dovendo andare al lavoro, e non dovendo incontrare gente, accantono quel copione che da anni mi porto dietro. Del resto, sono a casa mia, la mia comfort zone, con il mio compagno, non devo essere diversa da come sono. Inizio a scandagliare portali e siti internet, finché un giorno scopro che quella reazione violenta e spropositata avuta in ufficio ha il nome di meltdown, una manifestazione emotiva violenta tipica degli Asperger. 

  

 

Il dubbio mi consuma

 

Inizio a sospettare di essere autistica, e più passano i mesi, più quel tarlo diventa un macigno. La scorsa estate sono al mare con mia madre. Adoro il mare, su di me ha sempre avuto un effetto catartico, scompaiono ansie e paturnie. Stacco la spina dal lavoro e da tutto il resto, ho più tempo per pensare e, perché no, indagare. 

Continuo la mia ricerca, finché un giorno finisco su un sito web sull’autismo che mi consente di fare un test di screening: rispondo a tutte le domande e il risultato è evidente: rientro nella condizione di sindrome di Asperger. Vado da mia madre e a bruciapelo le chiedo: “E se fossi autistica?”. Per poco non mi ride in faccia. “Ma cosa stai dicendo? Io sono tua madre, me ne sarei accorta, non hai niente che non vada!”. 

 

Il mio compagno scettico

 

“Secondo me ti stai solo fissando”, mi dice. Negli anni, lui è una delle poche persone con cui sono riuscita a lasciarmi andare, per cui non mi vede poi così diversa dalle altre. E poi, nell’immaginario collettivo, nei libri come nei film, l’autistico viene rappresentato come una caricatura, un personaggio grottesco: sguardo basso, incapacità di comunicare, movimenti poco armonici, penso a Rain man, il film con Dustin Hoffman. Io non sono così. 

Alla fine dell’estate mi ricordo di un ragazzo Asperger che avevo conosciuto qualche anno fa. Col senno di poi, io e lui avevamo molti tratti in comune di quanto potessi pensare, ma a quel tempo non gli avevo dato peso. E’ lui a indicarmi la strada che darà la risposta alle mie domande. Contatto una neuropsichiatra, inizio così un percorso in cui le racconto tutta la mia vita, ed è una liberazione. Incontro dopo incontro, mi sento libera di un fardello che premeva sul petto da quando ero una bambina. 

 

Poi arriva la diagnosi

 

Un giorno mi dice che, sì, sono Asperger. Combacia tutto: interessi ristretti e assorbenti; incapacità di socializzare e sviluppare relazioni sociali; isolamento; selettività alimentare; mutismo selettivo. Esco da quella stanza, consapevole che da quel momento in poi non avrei dovuto più subire la mia vita, il mio destino, ma esserne l’artefice.

Oggi sono una donna forte, con una diagnosi che mi ha fatto capire che non sono sbagliata, ma solo diversa. Una persona che è riuscita a conquistare il suo posto in un mondo che tutto era fuorché a sua misura. E che ora, questa vita, può prenderla a morsi.

 

 

 Settimanale F, n. 7 del 16 febbraio 2021

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