domenica, febbraio 28, 2021

CORLEONE, PRIMO MARZO: ‘A LUMINIANA RI SANTU LUCA

La luminiana di San Leoluca

GIOVANNA BENFRATELLI*
Quando ero bambina la festa del santo patrono, il I marzo, era molto sentita. Giorni prima noi bambini ci organizzavamo per raccogliere la legna per fare il falò, girando di casa in casa per chiedere i mazzini (le fascine).
A quei tempi tutti tenevano la legna in casa perché non c’erano le bombole del gas e per cucinare la pasta bisognava accendere la legna nelle cucine, quelle economiche che prima erano in muratura, con un buco a centro in cui si incassava la pentola di rame o di alluminio. Accanto c’era un buco più piccolo con una graticola, un fornellino in cui si metteva la brace per preparare il condimento per la pasta o un secondo.
Fra i vari quartieri si faceva a gara a chi faceva la luminiana più grande e il mio quartiere, ‘u Puzzu buon, era quasi sempre in testa.
Quando avevo 13 anni, per san Leoluca la mia famiglia decise che ci sarebbe stato il primo incontro col pretendente di mia sorella per farli conoscere, per poi annunciare il fidanzamento ufficiale.
Quel giorno c’era un gran fermento a casa mia. Mio padre era andato a comprare i dolci da Iannazzo e non solo i tetù ma anche quelli con la crema colorata all’interno.
La zia aveva preparato il liquore, non verde perché il fidanzamento non c’era ancora. Il liquore verde si preparava in occasione del fidanzamento ufficiale, quando il fidanzato avrebbe portato il mazzetto di fiori e l’anello. Per quell'evento avevamo comprato dei vestiti nuovi. Io ero andata al negozio da Giammona con la zia, che mi aveva consigliato di prendere un completino rosa con la gonna plissettata e un sotto giacca blu con le maniche corte (gli odierni twin-set).
Nei giorni precedenti mi ero data un gran da fare per raccogliere legna e avevo pure litigato con un gruppetto di ragazzi di sant’Agata perché sostenevano che avevo sconfinato nel chiedere legna in quella zona. Io invece, forte del fatto che in via Guardia avevamo una pagghiaruola, dicevo che mi spettava di andare anche in quella strada a raccattare legna.
La sera arrivarono a casa mia alcuni parenti e il futuro fidanzato, accompagnato dalla sorella. S’intrattenne la comitiva offrendo i dolci ed il liquore.
Eravamo nella camera da letto dei miei genitori, a quei tempi nelle case non c’era il salotto. Intanto da fuori sentivo provenire delle voci: avevano acceso la luminiana. “Viva santu Luca!! Viva santu Luca!!!”. Presi coraggio e chiesi se potevo scendere a vedere il falò. Mi diedero il permesso. Ormai purtroppo la legna stava finendo di bruciare e le persone si avvicinavano per prendere la carbonella. Dopo tutto il lavoro dei giorni precedenti, non potevo farmi sfuggire di prendere pure io la mia parte e, con una pala, incominciai a riempire un vecchio fustino di latta. Svuotavo il secchio davanti casa mia, prendevo l’acqua alla fontana di fronte (nelle case non c’era acqua corrente) e la buttavo sopra la carbonella per spegnerla e non ridurla in cenere.
A un certo punto mi accorsi che una vicina, comodamente, prendeva la carbonella dal mio mucchio. Allora l’arrunchiai a pianterreno, dove c’era la stalla, e feci così tanto rumore che da sopra mi sentirono e mi intimarono di salire subito. Il tono era di quelli che non ammettevano repliche. Salii, senza pensare in che condizioni ero ridotta. Quando mi presentai le mie sorelle impallidirono, mente gli altri si misero a ridere come matti, e mi invitarono a guardarmi allo specchio.
Io mi girai verso l’armadio, dove c’era appunto uno specchio e non mi riconobbi: i nastri dei capelli slegati, la faccia nera e il vestito tutto sporco di carbone.
Giovanna Benfratelli
* tratto da "Mosaico di storie corleonesi"

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