AMELIA CRISANTINO
Un libro militante, e non poteva che essere così. In La memoria e il progetto. Dal Centro Impastato al No Mafia Memorial (Di Girolamo) Umberto Santino e Anna Puglisi hanno risposto a Sylwia Proniewicz, che è una storica della Chiesa e ha il merito di porre domande chiare e semplici, che vanno dritto al punto: assieme hanno così ricostruito il percorso cominciato nel 1977, con la fondazione del Centro siciliano di documentazione che nel 1980 è stato intitolato a Giuseppe Impastato. Nel libro si raccolgono le fila delle esperienze ormai consegnate al passato, osservate col distacco che il trascorrere del tempo sempre regala, ed è un passato fitto di titoli, di incontri, di elaborazioni teoriche. La proiezione nel futuro avviene con facilità, con la naturalezza degli sviluppi organici. Ed è arricchita dal positivo apporto dei nuovi soggetti che nel frattempo si sono avvicinati, consentendo di pensare alla realizzazione di obiettivi parecchio ambiziosi come il No Mafia Memorial che, senza perdere il rigore delle analisi, si propone come il luogo per eccellenza della memoria.
Il libro rivendica l’aspetto progettuale della memoria, ricordare può
essere scomodo o doloroso ma aiuta a ritrovare le ragioni della speranza. E, in
una Sicilia dove miseramente sono caduti i simboli di una certa "
antimafia" di facciata, tornare al tempo che solo il pudore impedisce di
definire eroico è quasi un balsamo per le ferite. Tornare al 1978 in cui è
stato ucciso Peppino Impastato. A un’epoca in cui la mafia veniva data per
scomparsa, inesistente o al massimo una questione di mentalità. Quasi
un’antropologia al limite col folklore. Da qui è partito un lungo lavoro di
analisi condensato in varie pubblicazioni, approdato infine all’elaborazione
del «paradigma della complessità» che considera la mafia come fenomeno
articolato, frutto dell’interazione tra vari aspetti che comprendono «
l’associazionismo criminale e il sistema di rapporti, l’intreccio tra crimine,
accumulazione, potere, codice culturale e consenso ».
In un contesto dove l’economia legale è debole, la capacità di usare
violenza ha selezionato un nucleo sociale che ha adoperato l’agire mafioso come
ascensore sociale: campieri, gabelloti e guardiani di una campagna ricca come
quella che circondava Palermo sono diventati costruttori, contrabbandieri,
trafficanti di droga. Una borghesia mafiosa, che si muove in un territorio dove
la mafia consente gran parte delle attività che vi si svolgono e tende a
controllare ogni cosa. Il sintomo più evidente della «signoria territoriale
mafiosa » è il pizzo, forma di fiscalità parallela a quella dello
Stato ma che – al contrario di quella statale – non tollera gli evasori. Una
società dove si afferma la signoria territoriale della mafia non può che
essere " mafiogena", produce mafia soprattutto perché buona parte
della popolazione accetta l’illegalità e la considera parte dell’esistenza
senza stare a chiedersi troppi perché.
Negli anni l’analisi ha affrontato la metamorfosi dell’organizzazione
criminale in impresa mafiosa e infine in mafia finanziaria, qualcosa che
all’apparenza sembra non avere niente a che fare con la vecchia mafia dei
guardiani ma è sempre gestita e controllata col ricorso alla violenza.
All’interno del Centro Impastato – e in coordinamento con altri partner – è
stato studiato il traffico internazionale della droga, cioè l’elemento che ha
determinato un vistoso salto di qualità nell’accumulazione della ricchezza,
nella proliferazione dei gruppi criminali e nella loro organizzazione.
Il lavoro teorico non ha fatto dimenticare le ricerche sul territorio. Anna
Puglisi ha osservato il ruolo delle donne, scontrandosi con gli stereotipi
correnti anche tra i magistrati che a Palermo, nel 1983, ancora giudicavano le
donne di famiglia mafiosa come un soggetto passivo. Il libro ricorda come a
Palermo nei primi anni Ottanta si formò l’Associazione delle donne siciliane
contro la mafia, le iniziative nelle scuole e quelle a sostegno di due donne
che al maxiprocesso si costituirono parti civili: due donne del popolo
straziate negli affetti, che, come Felicia Impastato, scelsero lo Stato invece
della vendetta e per questo vennero isolate anche dai familiari. Un gesto di
rottura, di enorme importanza e rimasto incompreso dalla Palermo di quegli
anni.
La Repubblica Palermo, 31 gennaio 2021
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