lunedì, febbraio 01, 2021

Santino e Puglisi, una storia di antimafia negli anni di piombo

AMELIA CRISANTINO
Un libro militante, e non poteva che essere così. In La memoria e il progetto. Dal Centro Impastato al No Mafia Memorial (Di Girolamo) Umberto Santino e Anna Puglisi hanno risposto a Sylwia Proniewicz, che è una storica della Chiesa e ha il merito di porre domande chiare e semplici, che vanno dritto al punto: assieme hanno così ricostruito il percorso cominciato nel 1977, con la fondazione del Centro siciliano di documentazione che nel 1980 è stato intitolato a Giuseppe Impastato. Nel libro si raccolgono le fila delle esperienze ormai consegnate al passato, osservate col distacco che il trascorrere del tempo sempre regala, ed è un passato fitto di titoli, di incontri, di elaborazioni teoriche. La proiezione nel futuro avviene con facilità, con la naturalezza degli sviluppi organici. Ed è arricchita dal positivo apporto dei nuovi soggetti che nel frattempo si sono avvicinati, consentendo di pensare alla realizzazione di obiettivi parecchio ambiziosi come il No Mafia Memorial che, senza perdere il rigore delle analisi, si propone come il luogo per eccellenza della memoria.

Il libro rivendica l’aspetto progettuale della memoria, ricordare può essere scomodo o doloroso ma aiuta a ritrovare le ragioni della speranza. E, in una Sicilia dove miseramente sono caduti i simboli di una certa " antimafia" di facciata, tornare al tempo che solo il pudore impedisce di definire eroico è quasi un balsamo per le ferite. Tornare al 1978 in cui è stato ucciso Peppino Impastato. A un’epoca in cui la mafia veniva data per scomparsa, inesistente o al massimo una questione di mentalità. Quasi un’antropologia al limite col folklore. Da qui è partito un lungo lavoro di analisi condensato in varie pubblicazioni, approdato infine all’elaborazione del «paradigma della complessità» che considera la mafia come fenomeno articolato, frutto dell’interazione tra vari aspetti che comprendono « l’associazionismo criminale e il sistema di rapporti, l’intreccio tra crimine, accumulazione, potere, codice culturale e consenso ».

In un contesto dove l’economia legale è debole, la capacità di usare violenza ha selezionato un nucleo sociale che ha adoperato l’agire mafioso come ascensore sociale: campieri, gabelloti e guardiani di una campagna ricca come quella che circondava Palermo sono diventati costruttori, contrabbandieri, trafficanti di droga. Una borghesia mafiosa, che si muove in un territorio dove la mafia consente gran parte delle attività che vi si svolgono e tende a controllare ogni cosa. Il sintomo più evidente della «signoria territoriale mafiosa » è il pizzo, forma di fiscalità parallela a quella dello Stato ma che – al contrario di quella statale – non tollera gli evasori. Una società dove si afferma la signoria territoriale della mafia non può che essere " mafiogena", produce mafia soprattutto perché buona parte della popolazione accetta l’illegalità e la considera parte dell’esistenza senza stare a chiedersi troppi perché.

Negli anni l’analisi ha affrontato la metamorfosi dell’organizzazione criminale in impresa mafiosa e infine in mafia finanziaria, qualcosa che all’apparenza sembra non avere niente a che fare con la vecchia mafia dei guardiani ma è sempre gestita e controllata col ricorso alla violenza. All’interno del Centro Impastato – e in coordinamento con altri partner – è stato studiato il traffico internazionale della droga, cioè l’elemento che ha determinato un vistoso salto di qualità nell’accumulazione della ricchezza, nella proliferazione dei gruppi criminali e nella loro organizzazione.

Il lavoro teorico non ha fatto dimenticare le ricerche sul territorio. Anna Puglisi ha osservato il ruolo delle donne, scontrandosi con gli stereotipi correnti anche tra i magistrati che a Palermo, nel 1983, ancora giudicavano le donne di famiglia mafiosa come un soggetto passivo. Il libro ricorda come a Palermo nei primi anni Ottanta si formò l’Associazione delle donne siciliane contro la mafia, le iniziative nelle scuole e quelle a sostegno di due donne che al maxiprocesso si costituirono parti civili: due donne del popolo straziate negli affetti, che, come Felicia Impastato, scelsero lo Stato invece della vendetta e per questo vennero isolate anche dai familiari. Un gesto di rottura, di enorme importanza e rimasto incompreso dalla Palermo di quegli anni.

La Repubblica Palermo, 31 gennaio 2021

Nessun commento: