DANIELE LO PORTO
I beni confiscati alla mafia relegati in un limbo, in una vasta area grigia che dimostra i limiti organizzativi e di trasparenza degli enti locali. È impietosa l’analisi che emerge dal report nazionale RimanDATI, elaborato da Libera in collaborazione con il Gruppo Abele e con l’Università di Torino. Su 1.076 Comuni monitorati in tutta Italia ben 670 non pubblicano alcuna informazione, il 62%, quindi, è totalmente inadempiente, di questi 392 sono enti del Sud. La Sicilia è tra le undici regioni «rimandate», con una trasparenza ben al di sotto della media nazionale: su 207 comuni monitorati sono 120 quelli che sui loro siti internet non pubblicano alcun elenco né informazioni, il 58%. Palermo, invece, è un esempio positivo con un voto alto fra i capoluoghi, rispetto alla media nazionale.
La mancanza
di pubblicità in gran parte è causa del deterioramento del bene stesso, che non
viene assegnato e, quindi, diventa un rudere, un monumento alla sconfitta dello
Stato. «La trasparenza degli enti locali è un problema tout court, non riguarda
solo i beni confiscati alle organizzazioni criminali. Spesso ci si limita alla
pubblicazione meramente formale per rispondere a una direttiva, ma di fatto
“nascondendo” l’avviso – sottolinea Dario Montana, attivista di Libera a Catania
-, quasi fosse un problema. L’amministratore pubblico dovrebbe avere la
sensibilità e l’interesse di considerare, invece, l’opportunità di rispondere
concretamente a un’esigenza sociale collettiva. Adesso si può attingere ai
fondi comunitari per recuperare un immobile in cattivo stato, ma sarebbe
certamente più proficuo assegnare il bene confiscato in tempi celeri rispetto
all’acquisizione da parte dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la
destinazione».
E poi ci
sono casi clamorosi come la villa con piscina e parco rimasta, di fatto,
abitata per anni dagli stessi parenti del boss catanese al quale era stata
confiscata. Oppure la villa con piscina, a Palermo, tra Zen e Tommaso Natale,
confiscata e occupata abusivamente da una famiglia, con tanto di furto di
energia elettrica e condanna confermata in appello nel febbraio scorso. Ma ci
sono anche gli esempi positivi, come l’azienda agricola «Placido Rizzotto –
Libera Terra», nell’Alto Belice corleonese, che si estende su 100 ettari
sottratti al controllo della mafia. Proprio quest’anno, il 22 novembre, la
cooperativa festeggerà i 20 anni di attività. Sono 31 gli occupati che lavorano
alla produzione di cereali, legumi, olive, pomodori. «La nostra è un’azienda come
tutte le altre. Puntiamo sulla qualità del prodotto. Il mercato è uno strumento
e non l’obiettivo della nostra mission che punta all’affermazione dell’economia
sana, alla valorizzazione delle risorse umane e dei prodotti tipici, attraverso
una vera agricoltura biologica, che passa dalla riduzione delle emissioni dei
mezzi all’uso di materiali riciclabili», spiega Francesco Paolo Citarda, che ha
la passione per l’agricoltura nel Dna di famiglia ed è presidente della
cooperativa dal 2017, dopo essere stato socio volontario. La Placido Rizzotto
aderisce al Consorzio Libera Terra Mediterraneo, 9 cooperative tra Campania,
Puglia, Calabria e Sicilia, 90 prodotti, 170 lavoratori occupati su 1.400
ettari, 7 milioni di fatturato complessivo.
Altro
esempio virtuoso è la cooperativa Beppe Montana che produce cereali, olio,
agrumi, prodotto fresco e lavorato, tra Belpasso, Ramacca e Lentini, grazie ad
una proficua collaborazione istituzionale tra le prefetture di Catania e
Siracusa e la regia di Libera. «Il volontariato sociale privato e il soggetto
pubblico devono necessariamente lavorare insieme e integrarsi, solo così è
possibile raggiungere risultati positivi», aggiunge Dario Montana, che è il
fratello del commissario ucciso dalla mafia a Porticello nel 1985 ed oggi è
promotore con Libera di una intensa attività a sostegno della cultura della
legalità.
«I beni
confiscati alle mafie rappresentano una questione eminentemente politica e per
deciderne efficacemente il destino occorre favorire forme innovative di organizzazione
sociale, economica e istituzionale ispirate ai principi della pubblica utilità
e del bene comune – evidenzia Davide Pati, vicepresidente nazionale di Libera
-. La conoscibilità e la piena fruibilità dei dati, delle notizie e delle
informazioni sui patrimoni confiscati non possono che essere a loro volta
considerati elementi di primaria importanza. Proponiamo all’Agenzia Nazionale
per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla
criminalità organizzata un documento di indirizzo da inviare a tutti gli enti
destinatari di beni confiscati con un vademecum dettagliato sulle modalità di
pubblicazione e sui contenuti degli elenchi da pubblicare, anche fornendo un
modello comune in grado di uniformare sul piano nazionale la pubblicazione». Il
Comune di Catania, proprio nei giorni scorsi, ha pubblicizzato i bandi per
l’assegnazione di due immobili da destinare a centri di socialità autonomamente
gestiti da associazioni e organizzazioni del privato sociale. (*DLP*)
GdS, 28
febbraio 2021
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