giovedì, gennaio 12, 2023

‘Ndrangheta a Milano, il clan Papalia ora ha un primo pentito in famiglia: Rosi Barbaro parla con i pm, trema il gotha mafioso lombardo


Il nuovo collaboratore di giustizia è cognato di Serafina Papalia, figlia del superboss Rocco Papalia, oggi libero dopo quasi 30 anni di galera e tornato a Buccinasco. Una notizia che rischia di scompaginare gli equilibri criminali di tutta la regione. I primi verbali: "Fino alla carcerazione avevo la dote di picciotto all'interno della locale di ‘ndrangheta di Corsico-Buccinasco. "Il locale di ‘ndrangheta è rimasto bloccato perché c'erano stati dei problemi in Calabria"

di DAVIDE MILOSA

Dopo oltre 40 anni di presenza criminale su Milano e di legami con politica e impresa, il clanPapalia, la più potente cosca di ‘ndrangheta nel nord Italia originaria di Platì e legata alla famiglia Barbaro, si ritrova un pentito in famiglia. Si tratta di Rosario Barbaro nato nel piccolo comune dell’Aspromonte il 19 luglio 1972. Marito e padre, Barbaro, pur nato a Platì, ha passato quasi tutti i suoi 50 anni tra Buccinasco e Motta Visconti, comuni a sud del capoluogo lombardo. Alle spalle ha una condanna per associazione mafiosa. La stessa e per la stessa inchiesta (Cerberus del 2008) che condivide con il fratello Salvatore Barbaro, attualmente ai domiciliari, ma soprattutto convolato a nozze, ormai anni fa, con Serafina Papalia, figlia del superboss Rocco Papalia, oggi libero dopo quasi 30 anni di galera e residente sempre a Buccinasco.

I fratelli Barbaro sono figli del defunto Domenico, alias Micu l’Australiano, già legato a doppio filo con i fratelli Papalia (Domenico, Antonio e Rocco), storici referenti al Nord per la ‘ndrangheta. Rosario Barbaro cognato dunque della figlia del boss Rocco Papalia è parente anche di Domenico Papalia, classe ‘83, figlio di Antonio che oggi vive libero tra Milano e Platì, e del fratello Pasqualino Papalia, sposato con una Pelle, legata all’omonima cosca di San Luca. Tra le parentele dirette c’è anche quella con Rosanna Papalia (sorella di Serafina) già sposata con Giuseppe Pangallo, mai condannato per mafia e attivo tra la Svizzera e la provincia di Como.

Rosario Barbaro inizia a collaborare con la procura di Milano e con i pm Stefano Ammendola e Paolo Storari, coordinati dall’aggiunto della Dda Alessandra Dolci, già nel giugno del 2021 come si comprende da un suo verbale dell’11 luglio scorso depositato assieme ad altri atti al Tribunale del Riesame e relativi all’inchiesta della squadra Mobile diretta da Marco Calì che solo poche settimane fa ha disarticolato la cosca Maiolo, originaria di Caulonia, ma da decenni stanziale nel comune di Pioltello a nord di Milano. L’indagine ha visto nove persone finire in carcere, tra queste buona parte della famiglia Maiolo, tra cui il vecchio boss Cosimo, già coinvolto nella maxi-operazione Infinito del 2010. L’inchiesta, però, è molto più ampia e vede in totale oltre 50 indagati per mafia. Insomma, un bel guaio per i Papalia i quali, dopo la collaborazione negli anni Novanta di Saverio Morabito, legato però alla famiglia mafiosa dei Sergi anche loro di Platì e imparentati con i Papalia, non avevano mai avuto cedimenti o crepe interne all’organizzazione. La figura di Barbaro si affianca così a quella di Domenico Agresta, detto Micu Mc Donald, legato ai platioti residenti nel comune di Volpiano (Torino). I due risultano i più importanti collaboratori oggi nel nord Italia. Di Agresta, il pentito del clan Papalia dice: “Lo conosco sin da ragazzino, è inserito nella locale di Corsico-Buccinasco”.

Nel verbale di 30 pagine depositato agli atti Rosario Barbaro, soprannominato Rosi, parla in particolare dei suoi rapporti con la famiglia Maiolo. Preliminarmente Barbaro, dopo aver “eletto domicilio presso il Servizio centrale di protezione” dice: “Confermo gli impegniassunti e intendo rispondere”. Poi spiega: “Fino alla carcerazione avevo la dote di picciottoall’interno della locale di ‘ndrangheta di Corsico-Buccinasco. Il locale di ‘ndrangheta è rimasto bloccato perché c’erano stati dei problemi in Calabria. Quando sono uscito dal carcere ho commesso alcuni reati ma non necessariamente legati al mio inserimento nella menzionata locale. In Calabria c’era stata la scomparsa di Pasqualino Marando e dei due Trimboli, paesani nostri, motivo per il quale ognuno cercava di stare più riservato, temendo anche eventuali ritorsioni in quanto si potevano immaginare alleanze non corrispondenti al vero”. Dopodiché passa a parlare di Alessandro Manno, classe ‘64, anche lui di Caulonia e legato a doppio filo con Cosimo Maiolo, ma non indagato nella recente indagine della Mobile. Intercettato il vecchio Maiolo, riporta l’informativa conclusiva della polizia giudiziaria, spiegando “la propria caratura criminale, dichiarava che egli stesso e con lui Alessandro Manno sarebbero gli unici due soggetti in grado dì rapportarsi con le alte gerarchie mafiosee, per dare un’idea del significato di queste sue parole egli affermava che qualora dovesse accadere per assurdo che Toto Riina, dovesse venire in quelle zone cercherebbe solo due persone: lui e Alessandro Manno”.

Torniamo allora al verbale del pentito dei Papalia. Dice Rosi Barbaro: “Con Alessandro Manno eravamo in carcere a Pavia assieme nel 2010 circa; in passato, nel 1994-1995, avevamo già trascorso un periodo di codetenzione. A Pavia siamo stati nella stessa cella; era presente anche Sebastiano Pelle, riservatissimo come me. Alessandro Manno appartiene alla Locale di Pioltello come Capo Locale. Ci rispettavamo in carcere e ci teneva tanto all’amicizia nostra; lui voleva che facessimo gruppo e fossimo dei referenti degli altri detenuti calabresi in carcere nella nostra sezione sulle eventuali liti, discussioni o spostamenti di detenuti nelle celle. Manno era dell’idea di mantenere lo stesso controllo in carcere, ad esempio in relazione alle introduzioni di stupefacenti da parte di altri detenuti: il Manno voleva che fosse evitato per non incorrere in alcun tipo di disordine, oppure voleva dire la sua sui legami con nuovi soggetti calabresi che vi entravano; Manno voleva affermare il potere dei detenuti calabresi sugli altri. Rivendicava la forza della sua appartenenza alla ‘ndrangheta, anche per dirimere controversie all’interno del carcere; noi la pensavamo diversamente e non volevamo fare come lui che ipotizzava di gestire il carcere in questo modo”. Il verbale si chiude poche pagine dopo e dopo diversi altri riconoscimenti da parte di Barbaro. Siamo dunque alle prime battute di una collaborazione iniziata oltre un anno fa. Una collaborazione, quella di Rosario Barbaro, che fa tremare e non poco, non solo i suoi familiari affiliati ma anche buona parte del gotha mafioso che oggi opera all’ombra della Madonnina.

ilfattoquotidiano,  11 GENNAIO 2023

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