sabato, gennaio 28, 2023

La memoria degli ebrei attraverso le loro case


Erika Salassa archivista

13 febbraio 1945, edificio dell'ex educatorio Duchessa Isabella, Torino. Gli incaricati della banca scendono le scale che portano al seminterrato: ne risalgono poco dopo trasportando, tra le altre cose, un lettino di ottone per bambini con rete metallica, una panchetta di legno con schienale, un fornello a gas tre fiamme marca "Prometteus", una bacinella di lamiera smaltata a due manici, una padella in ferro a un manico, due cuscini di piume, un asse di legno per fare la pasta.

Con in mano l'autorizzazione della prefettura di Torino, è la signora N. N. a ritirare il materiale e a trasportarlo presso la propria abitazione, in via Madama Cristina. I legittimi proprietari del lungo elenco di beni sono nove, sono ebrei e in quel giorno di febbraio non sono più in possesso né delle loro case, né dei loro beni. Nessuno di loro conduce la vita che faceva prima dell'emanazione delle leggi del 1938, alcuni di loro una vita non l'hanno più.

Lunghi elenchi, minuziosi inventari, corrispondenza tra amministratori, ufficiali, periti, inquilini, proprietari: testimonianza di questo aspetto della persecuzione, specifico e ricco di connessioni, inerente la gestione della proprietà privata tra il 1938 e il 1945, si trova nel fondo servizio gestioni Egeli all'interno dell'archivio storico della Compagnia di San Paolo.

Testimone di una storia plurisecolare, dall'antica Compagnia seicentesca all'Istituto bancario San Paolo di Torino novecentesco, conserva due chilometri lineari di documentazione, a disposizione di studiosi e ricercatori, oggetto di attività di valorizzazione e divulgazione.

Nei locali di piazza Bernini, dove a metà anni Quaranta erano gli oggetti sequestrati a essere conservati, ora sono i faldoni dell'archivio, gestito dalla Fondazione 1563, a conservare e rendere accessibili le carte della memoria.

Le carte

La legislazione antiebraica emanata dal 1938 in avanti, trovò attuazione dopo pochi mesi nella costituzione dell'Egeli-Ente di gestione e liquidazione immobiliare, incaricato di acquisire, gestire e rivendere i beni eccedenti la quota di proprietà consentita ai «cittadini italiani di razza ebraica».

Con l'ingresso dell'Italia in guerra, l'Egeli estese le proprie competenze ai sequestri dei beni nemici in Italia e nella zona francese occupata. La Repubblica di Salò stabilì la confisca totale delle loro proprietà. Dopo la Liberazione iniziarono le restituzioni, mentre venivano posti sotto sequestro i beni germanici.

La gestione dei beni sequestrati fu delegata sul territorio a una ventina di istituti di credito fondiario presenti nelle diverse regioni italiane: per il Piemonte e la Liguria fu scelto l'Istituto di San Paolo. Fino al 1943 l'attività dell'Egeli fu portata avanti con una certa lentezza, determinata soprattutto dalla difficoltà di mettere in piedi un apparato gestionale molto complesso e anche dalle, seppur esigue, forme di resistenza che i proprietari potevano esercitare, come ad esempio il fornire autodichiarazioni non complete. Furono anni però in cui si raccolse e organizzò la grande mole di informazioni che permise alla macchina burocratica dopo l'8 settembre di adeguarsi al definitivo inasprimento delle misure contro gli ebrei, anche in relazione alla proprietà privata, con la confisca totale delle loro proprietà, senza più distinzioni tra quota eccedente e consentita, e tra ebrei discriminati e non, nella prospettiva dell'annientamento della popolazione ebraica.

Mentre le confische prevedevano un iter più complesso, i sequestri consentivano all'Egeli una immediata disponibilità del bene per differenti usi e destinazioni: in città la prefettura di Torino procedette principalmente con atti di questo tipo.

Furono così istruite dal servizio gestioni Egeli del San Paolo in breve tempo più di 500 pratiche relative a proprietà ebraiche in Piemonte, Liguria e nell'odierna Valle d'Aosta.

Su incarico della prefettura, la banca prendeva in gestione l'amministrazione dei beni: era il momento per l'incaricato, solitamente un perito del servizio tecnico, di recarsi presso l'appartamento (o la casa, il magazzino, la cascina) e stilare un preciso inventario, con la descrizione del bene immobile e del contenuto, sia delle stanze, che degli armadi, dei cassetti e dei barattoli.

Case chiaramente vuote di presenze, perché i legittimi proprietari erano andati via, scappati, nascosti o nella più tragica delle sorti deportati. Ma al perito interessavano le "cose". Tutto era descritto e tutto era gestito: la mole di documentazione che lo attesta è enorme: rendicontazioni, spese di amministrazione, quietanze di affitto, rimborsi di riparazioni, vertenze, assicurazioni, perizie.

Il processo disgregatore che, dapprima frammenta e disperde gli oggetti che definiscono la vita dell'individuo, per poi volgere al suo stesso annientamento, passa anche attraverso la fase di riutilizzo e di distribuzione dei beni sottratti.

La prefettura infatti si serviva degli immobili sequestrati come alloggi da assegnare a richiedenti, funzionari o militari che necessitavano di un alloggio o comandi tedeschi, e degli stessi mobili per arredare case o da distribuire agli sfollati dei bombardamenti.

L'incaricato dell'Istituto doveva quindi gestire queste attribuzioni, stilando elenchi di prese in consegna, facendo verifiche sugli inventari, gestendo le comunicazioni e le vertenze che ne scaturivano.

Delineando sui documenti tracce e connessioni che oggi ci aiutano nella comprensione delle dinamiche tra gli attori di quegli anni tragici. Attraverso le vite dei singoli si compone la storia di tutta la nazione.

Ricerca e didattica

Il fondo archivistico si è conservato nei depositi della banca per poi passare alla fine degli anni Ottanta in archivio storico; già negli anni Novanta è stato aperto alla consultazione dei ricercatori, data 1998 il volume Le case e le cose del Professor Fabio Levi, primo importante studio su carte di questa natura.

Il fondo è stato anche consultato dalla Commissione per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati (2001).

L'inventario digitale, pubblicato nel 2014, è consultato per motivi di ricerca da studenti, ricercatori e anche dai famigliari di chi ha subito espropri e confische.

L'archivio del servizio gestioni Egeli rappresenta una straordinaria fonte per la storia del Novecento e anche un laboratorio per attività di public history e didattica, come Dalle carte le vite , progetto della Fondazione 1563 di digital humanities e archivistica partecipata che ricostruisce profili biografici di chi subì i sequestri, intrecciando le fonti di diversi archivi.

Una interessante attività di didattica si sta avviando proprio in questo inizio anno insieme al Meis–Museo dell'ebraismo e della Shoah di Ferrara, finanziata dalla Comunità europea all'interno di Cerv (Citizens, Equality, Rights and Value Programme).

REMEMBR-HOUSE: An educational KIT to raise awareness on the Holocaust and promote knowledge of civil rights and EU values sviluppa, a partire dalle carte Egeli, una riflessione sul tema dei diritti.

Cuore del progetto, che prevede attività di formazione per docenti e studenti, è il modulo laboratoriale, con la realizzazione di una propria casa della memoria a partire dalle fonti archivistiche in un percorso in cui interagiscono ricerca, storytelling e sperimentazione creativa.

Lo straordinario patrimonio informativo che scaturisce dai faldoni dell'archivio storico viene quindi messo a disposizione per attività che mirano a promuovere la metodologia della ricerca storica e la riflessione sul tema delle fonti, nell'ottica di potenziare le competenze informative, anche in relazione all'ambiente digitale.

Una scelta culturale e civile della Fondazione 1563 riconfermata nei suoi progetti e in questo Giorno della memoria.

Erika Salassa

archivista

Erika Salassa è archivista della Fondazione 1563 per l'arte e la cultura della Compagnia di San Paolo


Domani.it, 28/1/2023

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