lunedì, novembre 10, 2025

Il civismo e l’impostura

di Nino Cuffaro

«La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità»

(Il giorno della civetta, Leonardo Sciascia)


                         (I bari, Caravaggio)

In vista delle prossime elezioni amministrative che si terranno nella primavera del 2026, ad Agrigento si parla sempre più di candidati sindaco e liste per il Consiglio Comunale. A sentire le voci della piazza, sembra assodato che, come nelle passate elezioni, anche in questa occasione ci sarà una proliferazione di liste. Nel 2020 si presentarono 20 liste (quasi 500 candidati), di cui ben 13 senza simbolo di partito, ma solo 8 superarono lo sbarramento del 5%.

Una mole così cospicua di liste e candidati potrebbe dare l’idea di una grande partecipazione democratica, con una cospicua presenza di cittadini desiderosi di contribuire alla vita politica della città.

Invero, ad una lettura più attenta delle cose agrigentine, appare una realtà ben diversa: si palesa chiaramente un sistema intessuto di clientele, carrierismo, relazioni di interesse, pressioni di vario tipo che spingono molti alla candidatura al di là di qualunque visone politica e ideale. In una cospicua parte delle candidature, dunque, non rileva il bisogno di realizzare interessi dell’intera comunità, ma la tendenza a perseguire finalità o vantaggi di tipo individuale, spesso a discapito del bene comune.

Emerge così quella che è una grande impostura, una vera e propria frode verso l’elettorato. Vale a dire lo spaccio del finto civismo.

Il civismo inteso come pratica democratica basata sulla conoscenza dei diritti e dei doveri del cittadino e, quindi, sul senso di responsabilità collettiva, nasce per colmare un vuoto politico delle realtà locali. Per questo non è fatto solo di liste elettorali, ma di associazioni, movimenti, gruppi di persone informali, che interagiscono, si incontrano, si confrontano per ragionare sulle esigenze della comunità, mettendo in essere iniziative di cittadinanza attiva. Il civismo, quindi, si sostanzia in un atteggiamento consapevole dei cittadini nel contribuire collettivamente al miglioramento della propria comunità, attraverso la partecipazione fattiva alla vita sociale e politica. Il protagonismo civico, per esempio, si può esplicare nell’ambito del volontariato sociale, della gestione e tutela dei beni comuni, dell’assistenza ai bisognosi, dell’accoglienza dei migranti, delle attività culturali, della difesa della legalità, del monitoraggio dell’attività istituzionale, ed altro ancora. Si tratta, pertanto, di una forma di autorganizzazione della società che può richiedere talvolta, per una miglior tutela di determinati interessi pubblici, di una presenza istituzionale e, coerentemente, di una partecipazione al contesto elettorale.

Definito così, il civismo è qualcosa di molto serio e importante per la tenuta democratica e la coesione sociale, ed appare chiaramente distinto e distante dal fenomeno della proliferazione delle occasionali liste elettorali locali, funzionali ad interessi di natura particolare.

Ma l’impostura non si sostanzia solo nell’ammantare di civismo ciò che molto più prosaicamente è costituito da liste senza simboli di partito, prive di qualunque progettualità.  C’è un’ulteriore possibile impostura: la presentazione di liste di partito, ovviamente con la partecipazione di consiglieri comunali e aderenti di una specifica formazione politica, sotto la più accettabile insegna del civismo.

Ecco, potrebbe succedere che un candidato sindaco, per ammantare una immagine di nuovismo, possa chiedere a qualche partito (uno a caso: la Democrazia Cristiana, in questo momento acciaccata da seri problemi di immagine) di rinunciare al proprio simbolo e mascherarsi sotto le insegne non pregiudizievoli del civismo. Un modo per evitare evidenti imbarazzi legati all’attualità politica e per non mettere in difficoltà eventuali aspiranti alleati.

Starà ai cittadini distinguere il grano dal loglio.

La lezione di Leonardo Sciascia

La citazione di Sciascia, in esergo, può anche essere interpretata come una variazione contemporanea del mito della caverna di Platone. Allo stesso modo dei prigionieri della caverna, che scambiano le ombre per la realtà, anche noi vediamo nel pozzo dei riflessi che ci sembrano la verità, ma non lo sono.

La verità è data solo a chi ha la volontà di spezzare le catene e uscire dalla caverna (o nel caso della metafora sciasciana, scendere nel pozzo). Ma questa conoscenza ha un costo: la perdita delle facili illusioni.

Senza verità, però, non c’è libertà autentica ed è preclusa ogni possibilità di cambiamento. Si può solo annaspare in superficie, rifugiarsi nella comodità dell’apparenza, adattandosi a vivere in un mondo di finzioni.

Nell’eterno gioco del potere, nell’alternativa tra la capacità di andare a fondo nella ricerca della verità e la seduzione indotta dai riflessi immediati della realtà, sta la dignità dell’individuo, ma anche quella di una intera comunità.

bacbac.eu, 9 nov 2025

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