di Mario Calabresi
«La città-fabbrica Torino era fatta di tram e biciclette, case fatiscenti, masse di uomini e donne che scendevano dai treni dal Sud con le valigie legate con lo spago. Il loro era un lavoro fatto di sudore, fatica, sporco: operai logori che a fine turno ritornavano nelle misere stanze del centro storico o nei ghetti della periferia».

L'arrivo del Treno del Sole a Torino, 1969. Mauro Vallinotto
I ricordi di Mauro Vallinotto sono precisi e dettagliati, sono passati quasi sessant’anni da quando cominciò a fare il fotografo e a ritrarre il “mondo della fatica” che si poteva incontrare ogni giorno tra la stazione di Torino e le fabbriche della periferia: «Era un’umanità dolente, vite fatte di solitudine, di alienazione e di emarginazione, così tragicamente simili a quelle che avrei poi incontrato nei miei viaggi in Belgio e Germania, fatti per raccontare l’odissea delle migliaia di nostri emigrati approdati in terre per loro sconosciute per lavorare nelle fabbriche e nelle miniere».
Aveva solo vent’anni, Mauro, quando diventò fotografo “per caso”.
I genitori non apprezzarono la decisione di abbandonare l’università e gli dissero di cercarsi subito un lavoro. Trovò impiego in uno studio grafico dove doveva lucidare i disegni, ma tutto il tempo libero cominciò a dedicarlo alla fotografia sociale. Seguiva le storie degli immigrati, andava a trovarli nelle case provvisorie, in piccoli appartamenti fatiscenti in cui vivevano accampate intere famiglie.
Immigrati centro storico Torino, 1969 © Mauro Vallinotto
Pendolari stazione Lingotto, 1970 © Mauro Vallinotto
Poi nel 1968 entra in contatto con Piera Piatti, moglie di Giulio Bollati allora direttore dell’Einaudi, che lavorava nell’Associazione per la lotta contro le malattie mentali.Comincia ad aiutarli nel loro lavoro di denuncia delle condizioni in cui erano tenuti i pazienti negli ospedali psichiatrici. «Ricevevamo continue segnalazioni su quello che tutti chiamavano il “manicomio” di Collegno, si diceva che accadessero cose terribili ma non erano documentate e nessuno poteva entrare. Io mi misi in testa che dovevo riuscirci per fotografare gli abusi. Nel dicembre del 1968 mi aggregai abusivamente a un gruppo di studenti di medicina del quinto anno e riuscii a entrare nella sezione femminile che si trovava a Torino dietro Porta Palazzo. Il professore non fece l’appello e nessuno si accorse di me».
Mauro aveva messo il camice e sotto, all’altezza dell’ombelico, aveva legato una piccola macchina fotografica: «Avevo tagliato le tasche, così infilavo le mani sotto e riuscivo a scattare, ma senza poter mettere a fuoco o inquadrare».
Quelle foto riuscirono però a documentare una situazione di disagio estremo.
Torino, Ospedale psichiatrico femminile, 1968 © Mauro Vallinotto
Per entrare a Collegno, si inventò un altro trucco: un infermiere gli diede l’elenco dei malati che non avevano parenti e che non ricevevano visite, così lui si finse un lontano cugino di passaggio di uno di loro. Lo fecero entrare e riuscì ad arrivare al famigerato reparto 13, dove erano segnalati gli abusi peggiori. «Al posto del camice avevo un impermeabile: lo aprivo leggermente e scattavo». Costruì la prima documentazione fotografica dell’associazione.
Alcuni mesi dopo arrivò a Torino la giornalista dell’Espresso Camilla Cederna, doveva scrivere della mobilitazione che era nata contro lo stato degli ospedali psichiatrici. Per un problema di treni era senza fotografo, le dissero che c’erano le immagini di Vallinotto, lei le prese e le mandò a Roma alla sede del settimanale.
«Due giorni dopo mi chiamò Franco Lefèvre, che era l’editor fotografico, e mi disse che me ne comprava trenta e che da quel momento io lavoravo con loro».
Il lavoro più sconvolgente lo fece per denunciare cosa accadeva a Villa Azzurra, l’ospedale psichiatrico minorile, dove si diceva che i 150 bambini venissero tenuti legati ai letti 24 ore al giorno. «Un’assistente sociale mi disse che tra le 14 e le 14:30 c’era il cambio degli infermieri. Io mi preparai e corsi dentro, mi bastarono dieci minuti per testimoniare quell’inferno. Scattai alcune foto che uscirono sull’Espresso e fecero talmente scalpore da portare a denunce, processi e allo smantellamento della struttura». Nell’immagine più sconvolgente si vede una bambina di meno di dieci anni, che è completamente nuda e ha le mani e le braccia legate alle sbarre bianche di un lettino di ferro.
Il direttore dell’ospedale, il dottor Giorgio Coda venne processato e condannato, ma riuscì a non fare nemmeno un giorno di carcere. Anni dopo venne gambizzato da un gruppo di terroristi di Prima Linea.
Manifestazione metalmeccanici alla Fiat, Autunno caldo, 1969 © Mauro Vallinotto
La sua fotografia diventa sempre più impegnata e sociale: «Da appassionato di fotografia avevo scelto di testimoniare attraverso le immagini quanto accadeva intorno a me: le lotte studentesche, gli scioperi e le manifestazioni operaie dell’autunno caldo, le campagne per il divorzio e l’aborto portate avanti da una società civile che voleva uscire dal soffocante immobilismo imposto dai governi di quegli anni».
Ottiene una collaborazione anche dal settimanale americano Time e questo gli apre le porte per fotografare le catene di montaggio delle Fiat. Scatta immagini memorabili, che diventano libri e che ora sono raccolte in un libro che si intitola: “Vite dure”.
Fiat Mirafiori, 1972, © Mauro Vallinotto
Operaio della Fiat Rivalta, 1972 © Mauro Vallinotto
Nel libro c’è un testo di Marco Revelli che racconta le vite di quegli operai, il loro sradicamento, la loro solitudine e spiega la dimensione di quella migrazione verso Nord che cambiò l’Italia.
La carriera di fotografo e giornalista di Vallinotto continuerà all’Espresso, poi a Panorama, a Famiglia Cristiana, al Venerdì di Repubblica e poi al neonato settimanale Specchio della Stampa. Continua a fotografare l’Italia e il mondo finché decide di passare dall’altra parte e diventa un photo editor, la persona che sceglie le immagini da mettere sul giornale. Nel 2006 passa al quotidiano La Stampa che quell’anno è diventato tutto a colori. Lì lavoreremo insieme quando nel 2009 io ne divento il direttore.
Pausa alla Fiat Rivalta, 1972 © Mauro Vallinotto
Manifestazione Unione Industriali, 1973 © Mauro Vallinotto
Oggi Mauro, che ha 79 anni, ha messo in ordine tutto il suo archivio e ha deciso di mostrarlo (lo potete vedere esposto nel fine settimana dal 14 al 30 novembre alla Sala del Collegio dei Geometri di Cuneo, in via San Giovanni Bosco 7 in una mostra dal titolo “Vite dure. Dal Piemonte al Nord Europa, cronache di migrazioni, fatiche, solitudini”.) per far capire a tutti cosa sono stati gli anni della fatica.
Corriere della sera
ALTRE/STORIE, n. 269 del 14/11/2025
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