mercoledì, novembre 05, 2025

CI SCRIVONO. Caro Sindaco Zohran Mamdani…

Il Sindaco di New York Zohran Mamdani…

di GAETANO MANNINA

Caro Sindaco Zohran Mamdani, con il cuore che batte forte dall’altra sponda dell’Atlantico, le scrivo per offrirle le congratulazioni più sentite della mia generazione di immigrati, di figli di immigrati, di nipoti di chi ha salpato da Napoli, da Palermo, da tanti paesi del Sud del mondo credendo che a New York il mare finisse e cominciasse la libertà.

Il suo discorso di vittoria è già arrivato nelle chat di famiglia, nei barbieri, nei ristoranti dove si parla in dialetto e si spera in inglese. Quando ha detto «New York resterà una città di immigrati, costruita dagli immigrati, alimentata dagli immigrati e da stasera guidata da un immigrato», mia madre ha pianto. Perché per la prima volta, dopo anni di tweet che urlavano “mandateli a casa”, qualcuno ha urlato più forte: «sono già a casa».


Lei ha parlato di affitti stabilizzati, di nonni che non devono lasciare il quartiere, di mamme single che non devono scegliere tra il lavoro e il bambino. Ha parlato come se avesse letto i pensieri di chi, alle 5 del mattino, prende il treno per pulire uffici che non potrà mai permettersi. Ha detto che la grandezza «non sarà astratta». Per noi, che abbiamo imparato l’inglese traducendo le buste paga, quella frase è già diventata una preghiera.

Oggi, nei gruppi WhatsApp degli immigrati italiani, egiziani, bengalesi, ecuadoriani, si è diffusa una foto: lei al microfono, pugno alzato, con la scritta “Turn the volume up”. L’hanno mandata avanti e indietro come un amuleto, come quando anni fa mandavamo la foto della prima casa in periferia, la patente, il diploma dell’ultimo figlio. È diventata la nuova icona della possibilità: se un musulmano socialista può vincere nella città di Trump, allora nessuno di noi è davvero fuori luogo.

Le auguro di riuscire a trasformare quella prosa in ritmo, come ha promesso. Le auguro di entrare a City Hall tra 58 giorni con la stessa rabbia dolce di chi sa cosa significa contare i giorni fino alla busta paga. E le chiedo, da semplice cittadino europeo che sogna ancora l’America dei diritti, di portare anche la nostra voce: quella di chi è partito, ma non se ne è mai andato davvero.

Se un giorno passerà per Bensonhurst, Queens o il Bronx, troverà case dove ancora si mangia con le mani e si parla di lei come di un parente lontano che ce l’ha fatta. E se un giorno davvero riusciremo a «impedire la nascita del prossimo Trump», forse potremo tornare a dire ai nostri figli che l’America non è solo il paese da cui si parte, ma anche quello verso cui si sogna di tornare.

Grazie per aver alzato il volume. Continui a tenerlo alto: da oggi, anche la nostra speranza ha un’accento newyorkese.

Con stima e affetto fraterno, da

Gaetano

un figlio del meridione che crede ancora nel sogno.

5/11/2025

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