ENRICO ROSSI
A Copenaghen ha vinto la sinistra, quella che i riformisti chiamano “radicale”, e sarà sindaco una socialista di 39 anni, Sisse Marie Welling
Dopo un secolo i socialdemocratici perdono il municipio della capitale danese. Però non vincono i conservatori, perché gli elettori di sinistra vanno più a sinistra, premiando i Socialisti Popolari (SF) e le liste rosso-verdi. È una punizione per la scelta della premier Frederiksen socialdemocratica, di spostare il baricentro del partito verso destra, su temi come migranti, sicurezza e stato sociale.
È un risultato eliche parla anche a noi.
Quella che i riformisti accusano di essere “radicale” è , in realtà, una sinistra normale per tanti aspetti: parla di casa, salari, servizi, di lotta ai cambiamenti climatici e si propone quel lavoro sociale e redistributivo che la vecchia socialdemocrazia ha progressivamente abbandonato succube del neoliberismo, del mercato, delle “riforme che si traducono in tagli e precarietà.
Ma Copenaghen non è un caso isolato.
A New York il nuovo sindaco è Zohran Mamdani, 34 anni, democratico-socialista, primo musulmano alla guida della città. È arrivato al municipio con un programma che parla di affitti congelati, trasporto pubblico gratuito, salario minimo a 30 dollari, tasse sui redditi alti e sui grandi interessi per finanziare servizi universali: asili, case popolari, supermercati sociali, assistenza e mobilità.
A Seattle, la sindaca appena eletta è Katie Wilson, anche lei socialista dichiarata, è nota per le battaglie sul salario minimo, per tassare i grandi patrimoni e per rafforzare i servizi pubblici.
La sua vittoria segue un ciclo lungo di mobilitazioni su casa, trasporti, lavoro.
New York, Seattle, Copenaghen non sono certo una nuova Internazionale improvvisata, ma nemmeno tre puntini isolati e insignificanti.
Hanno in comune almeno tre elementi.
Primo: sono città in cui il modello neoliberale è esploso nelle sue contraddizioni.
I costi della vita sono fuori controllo, soprattutto le abitazioni, i servizi sono inadeguati e costosi, e le disuguaglianze sociali sono crescenti mentre i bilanci delle grandi imprese e dei fondi immobiliari volano e accumulano come non mai enormi profitti.
Per gli studenti, i lavoratori dei servizi, le famiglie a reddito medio é difficile arrivare a fine mese.
Secondo: queste città sono state amministrate per anni da un centro-sinistra che si definisce riformista ma, nei fatti, ha accettato l’orizzonte del neoliberismo, le privatizzazioni, le esternalizzazioni dei servizi, la deregolazione del mercato della casa, e purtroppo anche la compressione del lavoro in nome della competitività.
In conseguenza di ciò, la destra reazionaria e nazionalista ha occupato ogni spazio lasciato libero: sul terreno della paura, dell’insicurezza, del rancore sociale.
E spesso una parte del vecchio centro-sinistra ha perso i rapporti con il suo popolo e ha pensato di “fermala” imitandone linguaggio e politiche, soprattutto su migranti, sicurezza, ordine pubblico.
In questo quadro, la comparsa – e il successo – di una sinistra che torna a dirsi socialista non è folclore o nostalgia del passato, ma una risposta, ancora fragile ma concreta, ai disastri sociali accumulati in questi decenni.
La sindaca di Seattle, Mamdani a New York, la nuova maggioranza di Copenaghen hanno avuto semplicemente l’ardire di chiamare le cose con il loro nome: tassare i ricchi per finanziare i servizi, regolare il mercato immobiliare, investire su casa, scuola, trasporti, salute, clima.
Persino il tabù lessicale che voleva il “socialismo” confinato nei manuali di storia è stato rotto, rivendicandolo un socialismo democratico, municipale, radicato nella vita quotidiana.
È una sinistra imperfetta, certo, esposta a contraddizioni ma rappresenta qualcosa che nel discorso politico europeo – e italiano – quasi non si osa dire: la crisi del neoliberismo non si governa stando al centro rispetto della destra, bensì proponendo un altro modello di sviluppo e di società.
La spinta che viene da New York, Seattle, Copenaghen ci dice una cosa semplice: dove il centro-sinistra si chiude nella difesa dell’esistente, dove rinuncia a ridistribuire ricchezza e potere, dove accetta come inevitabili precarietà, disuguaglianze e povertà, gli elettori non restano fermi.
Una parte va a destra, un’altra – quando può – cerca una sinistra diversa, più sociale, più netta, meno timorosa.
Per questo è un errore liquidare queste esperienze come “radicali” e contrapporgli un riformismo moderato, debole, come fosse l’unica risposta vincente contro l’onda crescente della destra estrema.
Anche il dibattito interno al PD dovrebbe considerare questi elementi sopra descritti.
A mio avviso, infatti, invece di attaccare Elly Schlein ,che con la sua svolta ha salvato il partito da una deriva catastrofica, c’è bisogno di sostenerla e di spostare ancor di più il partito a sinistra su temi come la pace, la patrimoniale e le politiche sociali di ridistribuzione della ricchezza.
Il PD ha bisogno al suo interno di una sinistra più forte e più netta nel profilo culturale e nelle proposte di cambiamento.
Facebook, 20 novembre 2025

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