venerdì, maggio 26, 2023

«Noi, manganellati al corteo per Falcone»


Il Coordinamento 23 maggio dopo gli scontri: «Abbiamo i referti». La questura non replica

Umberto Lucentini

«Guardateci negli occhi: vi sembriamo terroristi? Eppure, ci hanno trattati come tali», dice Alessandro Salerno, studente del Majorana: «Io sono solo un ragazzo di una scuola che ha la sede nel quartiere dove hanno ucciso Claudio Domino». «Vi sembro una “giovane frangia antagonista”?» si chiede, tra amarezza e un pizzico di ironia, Mimma Grillo dell’Udi, ormai più che sessantenne: «Sono stata una delle undici donne che nel ‘92, dopo le stragi di Falcone e Borsellino, decisero di dire con i propri corpi che avevamo fame di giustizia e organizzammo il digiuno contro la mafia. Non si doveva inibire l’accesso a gente come noi all’Albero Falcone il 23 maggio...».

Quelle due facce, che potrebbero essere di nipote e nonna, sono adesso a pochi passi di distanza dall’Albero Falcone di via Notarbartolo, con lo striscione che il Coordinamento 23 maggio avrebbe voluto esibire al termine del corteo bloccato, martedì, dallo schieramento delle forze dell’ordine all’imbocco della strada dove abitava Giovanni Falcone e che è diventato l’appuntamento finale delle commemorazioni della strage di Capaci. 

«Evidentemente gli accordi presi con i rappresentati della questura sono stati bypassati da decisioni più alte che hanno scavalcato anche i funzionari presenti», sintetizza Jami El Sadi di Our Voice, uno degli organizzatori del corteo. E così il ricordo di Falcone e delle vittime della strage è diventato teatro di tensioni e di un braccio di ferro finito con diversi partecipanti al corteo, bloccati e presi a manganellate dalla polizia e tre poliziotti feriti nel corpo a corpo con i manifestanti. 

Sotto l’Albero Falcone, ieri, si torna a parlare degli scontri, perché le sedici sigle che hanno promosso il corteo non ci stanno a essere definite «frange antagoniste» e soprattutto a finire sul banco degli imputati per quel pomeriggio che ha macchiato il ricordo del 31° anniversario della strage. E mentre dalla questura non arriva alcuna replica alle loro parole, c’è chi come Rosario Rappa, della Cgil, rilancia: «Anche io sono una frangia antagonista che ha forzato il blocco della polizia, io ero a capo del corteo, avevo la responsabilità di governarlo fino alla fine. Ho 67 anni, essere definito giovane antagonista no... perché nel ‘92 ero tra quelli che in Cattedrale, ai funerali degli agenti della scorta di Borsellino, urlammo: “Fuori la mafia dallo Stato”, con accanto giovani, studenti associazioni come l’Udi e l’Anpi, e tutti manifestavamo contro la mafia». Pochi metri più in là, Gabriele Rizzo solleva il maglione e mostra un livido che gli attraversa le spalle: «Questo è il risultato della manganellata che ho preso all’angolo con via Mattarella». «Abbiamo foto e referti medici che dimostrano il modo in cui siamo stati manganellati, e valuteremo se portarli in tribunale», aggiunge Marta Capaccione di Our Voice. Mariangela Di Gangi e Massimo Giaconia, consiglieri comunali di Progetto Palermo, sono sul marciapiedi a pochi passi dallo striscione: «Era importante esserci anche oggi (ieri, ndr), perché mentre qualcuno pensa di potersi prendere gioco dell’intelligenza dei palermitani continuando a eludere domande scomode, la risposta più bella arriva con questo appuntamento, che mostra come il fronte si sia persino ampliato». Andrea La Torre, dell’istituto Rutelli, rilancia: «Non possiamo accettare che quindicenni e sedicenni vengano manganellati». Chiara Priolo, del Parlatore, racconta: «Ero terrorizzata, non mi sarebbe mai venuto in mente di dover proteggere studenti più piccoli di me venuti a manifestare». E Armando Sorrentino, avvocato e oggi esponente dell’Anpi: «Il rapporto con la polizia può tornare a essere buono ma bisogna che si ricostruisca cosa è accaduto nella catena di comando».

Nicola Fratoianni, dell’Alleanza Verdi Sinistra, in un’interrogazione chiede «quale “manina” ha complicato tutto? Ci sono state interferenze istituzionali o di alto livello?». In una lettera aperta, 80 docenti si schierano «al fianco degli studenti» e stigmatizzano che «forse per la prima volta nella storia delle manifestazioni antimafia, a un gruppo di cittadini non è stato consentito di esprimere liberamente il punto di vista in merito al pericolo di infiltrazioni mafiose». E Luisa Impastato, di Casa memoria, chiede «una risposta a quello che è successo».

GdS, 26/5/2023

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