Franco Lannino
di MAURIZIO PISCOPO
Inizio scrivendo che questa non è una intervista come le altre. Conosco Franco Lannino da moltissimi anni. Nello studio conservo due sue foto, una scattata nel 2000 al Palazzo di città, mentre Rita Consiglio Canta Palermo d’inverno con il Coro Luigi Braille, l’altra scattata il 23 novembre 2005 per il quotidiano La Repubblica, dal titolo “Il mandolino del barbiere” (un pezzo scritto da Tano Gullo, poetico ed espressivo, da incorniciare), presso la barberia di Antonino Orlando a Piazza Sant’Oliva insieme agli amici del Gruppo Popolare Favarese Giuseppe Calabrese, Mimmo Pontillo e Antonio Lentini.
Franco Lannino non è solo un fotografo, è un poeta, un artista raffinato, di una sensibilità particolare. Infatti, sa cogliere le luci e le ombre della città “infelicissima”, se ci riferiamo alla mattanza di Palermo. Franco racconta: “C’erano giorni in cui a Palermo non si poteva respirare con i morti uccisi al volante, fermi al rosso di un semaforo, per strada, o ancora inseguiti mentre sono in fuga, raggiunti e assassinati sul marciapiedi, accanto ad una cabina telefonica “.
Il suo racconto si riferisce alla città dei 100 morti ammazzati ogni anno, quella ripresa dagli obiettivi di Franco Lannino e Michele Naccari, fotoreporter dell’agenzia Studio Camera. Le foto finivano sul giornale L’Ora e poi su quelle dei quotidiani e dei settimanali di tutto il Paese. Immagini crude e forti, oggi sparite dagli articoli di cronaca. Nella mostra intitolata Macelleria Palermo c’è una sorta di “full immersion” nell’orrore.
Lannino e Naccari volevano spiegare a chi non conosceva Palermo cosa è stata questa città in quegli anni. Sono scatti dolorosi e amari che fanno riflettere tutti. Per non dimenticare. Franco trascorre il suo tempo libero nel rifugio dei gatti abbandonati intitolato alla fondatrice “Pola Narzisi”, l’Ente Difesa Gatti, di cui è il direttore e presidente dell’ Associazione. Il suo film preferito è “Le avventure di Tintin” – Il segreto dell’Unicorno. E’ un film ‘animazione statunitense-neozelandese del 2011 diretto da Steven Spielberg, prodotto dallo stesso Spielberg, insieme a Peter Jackson e Kathleen Kennedy.
L’ultimo libro che ha letto è “Controvento. Racconti di frontiera”di Attilio Bolzoni, del novembre 2023. (edizioni Zolfo). Non sa cucinare per niente, è però un maestro di microoonde! Gli farebbe piacere viaggiare di più, ma i suoi 200 gatti non glielo consentono. E’ un grande appassionato di Scooter, Vespe e Lambrette. Ne ha 14, alcune le tiene in salotto. Colleziona oggetti vintage e di design anni settanta. Soprattutto macchine da scrivere e calcolatrici. Ma a questo punto andiamo a conoscere Franco da vicino.
- Quando inizia la tua passione per la fotografia?
A undici anni, il giorno della mia prima comunione mia zia “Core” mi regalò una macchina fotografica, una Kodak Instamatic Hawkeye, formato 126 mm. Con quella macchina fotografica ho scattato alcune foto durante la festicciola del rinfresco. Mi dissero che ero bravo e avevo l’occhio del fotografo!
- Hai mai scattato foto di battesimi, matrimoni, qualche foto “rubata”?
Si certo! Ho iniziato presso l’agenzia di fotografica Publifoto, lì si facevano pure sevizi di cerimonia. E si “rubavano” foto perchè si faceva anche tanta fotografia di cronaca.
- Che rapporto c’era tra i fotografi, i giornalisti e gli scrittori siciliani?
Devo dire che ognuno lavorava a compartimento stagno. I giornalisti non hanno mai davvero capito e valorizzato il lavoro dei fotografi. Con gli scrittori nessun rapporto.
- Tu e il giornale L’Ora…
Con il Giornale L’Ora ho lavorato dal 1981, tramite la Publifoto che gli vendeva in autonomia e a “gettone” le fotografie. Poi a febbraio nel 1989, la svolta: La nuova casa editrice che subentrò alla precedente decise di non rinnovare più il contratto a Letizia Battaglia, e chiamò noi operatori di “punta” della Publifoto proponendoci un ottimo contratto in esclusiva, a patto che avessimo fondato una nostra agenzia. E dunque il 17 febbraio nacque “Studio Camera”, i cui soci fondatori fummo io, Michele Naccari e Salvo Fundarotto. In questo regime lavorammo fino alla chiusura del giornale che, purtroppo, avvenne il 9 maggio del 1992.
- Puoi commentare una frase di Ferdinando Scianna: “Il fotografo è uno che ammazza i vivi e resuscita i morti”…
Francamente ne cambierei i termini: Il fotografo è uno che rende immortali i vivi e fa rivivere i morti…
- Hai fotografato molti bambini. Secondo te i bambini di oggi sono felici?
I bambini di tutte le ere sono sempre felici, quindi si, anche i bambini di oggi sono felici!
- Una foto può cambiare la vita di una persona?
Altrochè! Può cambiare anche il corso della storia. Il mio socio Michele Naccari scattando nel 2008 la foto dell’ex presidente della Regione siciliana Totò Cuffaro con un vassoio di cannoli in mano subito dopo essersi beccato una condanna a cinque anni di reclusione per favoreggiamento alla mafia, fece cadere un intero governo regionale, dato che lo stesso Cuffaro si dimise dopo le aspre critiche ricevute a causa di quel gesto.
- Esiste ancora, la Sicilia nascosta e insospettata che pochi fotografi riescono a scoprire nella sua magia e nel suo fascino antico, quello dell’isola dei ciclopi?
Si, la Sicilia è una terra grande e meravigliosa. Si trovano sempre posti nascosti ed inaspettati, basta avere gli occhi e la sensibilità per trovarli.
- Qual è la foto che racchiude e rappresenta per te il 2024?
Senza dubbio la fotografia dell’attuale presidente degli stati Uniti Donald J.Trump che alza in pugno al cielo e con il volto insanguinato subito dopo essere stato ferito da un proiettile durante la campagna elettorale il 13 luglio.
- Nella tua vita hai fotografato personaggi famosi scrittori, poeti, pittori attrici, registi che cosa hai provato?
Quando hai l’onore di fotografare personaggi importanti è sempre una grandissima soddisfazione personale e professionale.
- Qual è il potere di una fotografia nel mondo in cui viviamo?
La potenza della fotografia è paragonabile alla potenza della scrittura. E a volte la supera. Del resto che un”immagine valga più di mille parole è un adagio universale che evidenzia come la nostra mente attraverso un’immagine sia molto più stimolata, piuttosto che attraverso la semplice descrizione verbale.
- Come sarebbe stata la tua vita se non avessi incontrato la macchina fotografica?
Sinceramente non la immagino proprio! La fotografia fa parte del mio DNA. I miei occhi in ogni istante della loro visione, selezionano quello che val la pena di fissare e non fanno caso a quello che non serve. E’ il classico l’occhio fotografico, si nasce con questo dono.
- E’ vero che solo nei colori della Sicilia esistono tutte le strane facce del mondo?
Si è vero!
- I vecchi e i bambini, i Santi e le processioni, i gesti e i riti della Sicilia. Esistono ancora queste cose?
Si certo. Sono tradizioni vive, ho documentato tanti di questi avvenimenti.
- A quale macchina fotografica sei più legato?
Sono legato ai miei occhi . Essi sono la migliore macchina fotografica che abbia mai posseduto. I mezzi che hanno un’ottica e che mi consentono di fissare le immagini sono secondari…
- Macelleria Palermo è più di un libro, più di una Mostra, una testimonianza di vita, un grido di dolore, una sorta di riflessione amara per le nuove generazioni. Le tue foto e quelle di Michele Naccari sulla mattanza di Palermo hanno fatto il giro del mondo. Cosa provavi ogni volta che scattavi una foto così dolorosa, con un morto lasciato per le strade nella città dei 100 morti ammazzati in un anno?
Come i tutti i mestieri si fa l’abitudine a raccogliere dolore per le strade. E ti cuci addosso una “corazza”. Quello che mi ha sempre spinto a mettere da parte le emozioni e rendere un buon servizio è aver avuto la consapevolezza di essere “l’occhio del lettore”, che, il giorno dopo, attraverso me poteva vedere le scene che io avevo fissato. Ecco, in questo senso ho svolto una missione, più che un semplice mestiere.
- Tu sai cogliere gli sguardi profondi dei siciliani e i loro silenzi. Da chi hai appreso questi segreti che non si trovano in nessun manuale di fotografia?
Dai miei Maestri, e dalla sensibilità personale. Come un attore che prima di recitare studia e si cala nel personaggio, anche un buon fotografo studia il “soggetto” e ne cerca di capire il suo punto di vista.
– Mi puoi dire chi sono stati i tuoi maestri?
Mio fratello Giuseppe, Enzo Barai, Nino Sgroi e Pippo Sole,
- Le tue foto sono state pubblicate dalle più importanti riviste del mondo. Che tipo di foto chiedevano i giornali stranieri sulla Sicilia?
I giornali stranieri chiedevano – e chiedono attualmente – sempre foto stereotipate della nostra terra di Sicilia. Amano molto le piante di fichidindia e le coppole… C’è stato un tempo in cui il fotografo Natale Gaggioli teneva in auto una pianta di fico d’India, da aggiungere agli scatti di morte per renderli folcloristici.
- Gli studi fotografici con i loro rullini sono scomparsi nei paesi e con loro è scomparsa anche la memoria storica dell’isola…
Tutto cambia, tutto si trasforma. Ma la fotografia non morirà. Gli studi fotografici andranno avanti con altre tecnologie.
- In Sicilia c’è un particolare modo di raccontare la vita: “Vedere senza vedere, dire senza dire… Qual è il vero mistero della Sicilia”?
La vita si può raccontare anche senza dir nulla. Basta guardarsi negli occhi, anche attraverso le rughe dei nostri volti e si può dire tanto…
- Nella primavera del 1991 con il giornalista Antonio Fiasconaro hai documentato sei giorni in manicomio, un viaggio-inchiesta sull’ex ospedale psichiatrico Pietro Pisani. Che ricordo ti ha lasciato questa esperienza così dolorosa?
Un’esperienza sconvolgente, ne porto ancora i segni. Mi ha aiutato a comprendere che nella vita non esiste solo razionalità, e che in fondo, dentro ognuno di noi c’è un pizzico di follia.
- Se dovessi riavvolgere il nastro della tua vita rifaresti ancora il mestiere del fotografo?
Senza ombra di dubbio, si!
- Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Godere di quello che ho, e vivere intensamente più a lungo possibile, assieme ad un qualsiasi apparecchio che mi consenta di scattare fotografie, anche uno smartphone va bene.
Biografia
Nato a Palermo, classe ’59, Franco Lannino, dopo gli studi, decide di abbracciare la fotografia, sua grande passione sin da ragazzo, andando a bottega presso l’agenzia fotografica Publifoto. Otto anni dopo fonda la propria agenzia, ”Studio Camera”. Comincia così l’avventura in esclusiva per conto del glorioso Giornale ”L’Ora” di Palermo. Dopo la chiusura definitiva del giornale, che avvenne nel Maggio del 1992, lavora per tutti i quotidiani regionali e per l’Ansa nazionale. Fa accordi di collaborazione con un’importante agenzia di distribuzione milanese, la ”Giacominofoto” e sulla piazza di Roma con la ”Olympia”. Ha pubblicato migliaia di fotografie di qualsiasi genere su famose testate quotidiane, rotocalchi nazionali ed internazionali. Ha documentato dal 1981 la seconda guerra di mafia e tutte le stragi volute da ”Cosa Nostra”. Ha ripreso capillarmente sin dagli albori il fenomeno dell’immigrazione clandestina dall’Africa attraverso quella ”porta d’Europa” che è l’isola di Lampedusa. Franco Lannino, da 29 anni a questa parte, ha affiancato al ramo cronaca la fotografia di teatro, lirico e di prosa, ed è attualmente il fotografo di scena del Teatro Massimo di Palermo. Continua la sua attività di denuncia ed informazione fotografica su altre piattaforme che non siano quelle giornalistiche (blog, social ecc.) cercando nuovi spazi per stare al passo con l’evolversi della fotografia applicata al fotogiornalismo. Da 12 anni dirige a Palermo un rifugio per gatti abbandonati.
Ripost.it, 26 febbraio 2025
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